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Post 194 - L’arte perduta col Vajont: la vecchia parrocchiale di Longarone

 


L’onda che si abbatté su Longarone e le zone limitrofe il 9 ottobre del 1963 non solo si portò via la vita di quasi duemila persone, ma rase completamente al suolo l’antico abitato, distruggendo quasi ogni testimonianza storica e artistica precedente al disastro. Con il post odierno parliamo dell’antica chiesa parrocchiale di Santa Maria Immacolata, ricca di tesori artistici che andarono perduti per sempre.


Foto 1: La parrocchiale di Longarone prima della distruzione.

La comunità longaronese ancora nel XIII secolo era davvero esigua e dipendeva dalla chiesa pievanale di Zoldo, la chiesa di San Floriano. Più o meno nello stesso periodo, fu istituita un’altra pieve a poca distanza, quella di Castellavazzo, a cui Longarone farà riferimento fino alla fine dell’età moderna.

La prima chiesa di Longarone di cui abbiamo notizia venne costruita a partire dal 1360: è l’oratorio di San Cristoforo, che per secoli rappresenterà l’unico edificio religioso del paese. Era un sacello di esigue dimensioni, che ci è noto soltanto per una foto in bianco e nero risalente al gennaio 1963. Possiamo vedere qui l’affresco laterale rappresentante San Cristoforo col Bambino sulla spalla, dipinto pochi decenni prima da Giocondo Protti su preesistenze. Anche la facciata era stata rifatta nel tempo: dallo scatto possiamo constatare che presentava un chiaro stile classico. Dentro vi era una pala di Francesco Vecellio raffigurante San Girolamo penitente, purtroppo trafugata da ignoti al principio dell’Ottocento. 


Foto 2: L’oratorio di San Lorenzo, fotografato nel gennaio 1963.

A metà Cinquecento era ormai chiaro che Longarone era diventata l’abitato preponderante della zona a livello di abitanti, dove si concentravano le principali attività civili e commerciali della pieve. Il pievano, infatti, si trasferì qui nel 1518, in un edificio che venne trasformato in canonica. 

La costruzione di una nuova e capiente chiesa è alquanto tarda. Nell’agosto del 1695 il vescovo di Belluno Giovanni Francesco Bembo stava compiendo alcune visite pastorali e i longaronesi chiesero a gran voce la costruzione di un edificio di culto alternativo al piccolo e ormai insufficiente oratorio di San Cristoforo. Tuttavia, le cose andarono per le lunghe: non erano state messe in conto le proteste dei pievani di Castellavazzo e il nuovo cantiere iniziò soltanto nel 1717. La nuova chiesa, dedicata a Santa Maria Immacolata, fu terminata nel 1741 e consacrata nel 1754. 


Foto 3: L’interno della parrocchiale, fotografato tra gli anni ‘40 e ‘60.

Le forme erano chiaramente ispirate allo stile classicista e neopalladiano che andava tanto di moda nella Venezia della prima metà del Settecento, seppur l’edificio fosse stato realizzato in maniera semplificata, richiamando, in qualche modo, la grandiosa chiesa dei Gesuiti a Belluno. L’interno, a navata unica, presentava tre campate con sei altari laterali ricavati in profonde nicchie, più l’altar maggiore. Quest’ultimo, venne sostituito nel 1838 da un esemplare in marmo, a guisa di tempietto, disegnato dall’architetto feltrino Giuseppe Segusini. 

La cosa curiosa è che tale chiesa – la più grande di tutta la pieve – non era comunque parrocchia indipendente e lo diverrà soltanto nel 1799, all’indomani della caduta della Repubblica di Venezia. Si distingueva, però, per il suo ricchissimo apparato pittorico, che la rendeva un autentico gioiello del Settecento veneto.

La pala più importante era di mano di Giambattista Piazzetta: pittore oggi non particolarmente noto alle masse, era in realtà uno tra i più celebrati artefici del suo secolo. Distintosi inizialmente come principale oppositore all’arte di Tiepolo – seguendo un gusto tenebroso, dai colori terrosi, che guardava allo stile del bolognese Giuseppe Maria Crespi – diverrà poi seguace e amico del rivale, abbracciandone i modi. La tela di Longarone, situata sul secondo altare di destra e che aveva come soggetto la “Madonna col Bambino tra le nubi, san Giovanni Evangelista e san Matteo”, era stata commissionata dalla famiglia dei Sartori e rappresentava uno dei grandi capolavori del Settecento bellunese: dalle foto in bianco e nero si può comunque notare l’abilità dell’artista nel comporre le figure e nel creare lo spazio attraverso un chiaroscuro estenuato. 


Foto 4: Giambattista Piazzetta, Madonna col Bambino tra le nubi, san Giovanni Evangelista e san Matteo


Uno dei più noti e bravi allievi del Piazzetta era Francesco Capella, detto il Daggiù, pedissequo imitatore dello stile del maestro, prima nella sua fase terrosa, poi in quella tiepolesca. Probabilmente si ispirò proprio all’opera di Piazzetta in chiesa per realizzare una “Madonna con Bambino e “san Giovanni Nepomuceno”.


Foto 5: Francesco Capella, detto il Daggiù, Madonna con Bambino e san Giovanni Nepomuceno

Nella parrocchiale era presente anche Gaspare Diziani, con ben due pale. Se ricordate, abbiamo parlato di questo artista nel post numero 162. Nel terzo altare di sinistra, egli aveva realizzato una “Sacra Famiglia”, con Gesù Bambino mano nella mano con Maria e Giuseppe. Una variazione sul tema, con “san Giuseppe e Gesù”, figurava invece in controfacciata, a sinistra di chi entrava. Per il primo caso abbiamo almeno una fotografia, mentre del secondo nulla ci è rimasto. 


Foto 6: Gaspare Diziani, Sacra Famiglia

Il primo altare a destra ospitava un’opera di Antonio Marinetti, detto il Chiozzotto: la “Pala di tutti i santi”. Anche Marinetti era stato allievo di Piazzetta, sotto la cui ala era stato accolto quando il maestro era ormai anziano. Rispetto a Daggiù, la maniera del Chiozzotto è meno convincente, in quanto egli si limiterà a riproporre stilemi piazzetteschi per tutta la vita, tuttavia molto semplificati e privi di quel brio che rendeva grandiosa l’arte del maestro. Nemmeno di quest’opera abbiamo fotografie. 

Il soffitto era stato affrescato sempre alla metà del Settecento da una scuola locale, ma tale pittura era stata scialbata, ovvero ricoperta d’intonaco, al termine del secolo successivo per essere sostituita con un lavoro del vittoriese Pietro Pajetta, raffigurante una “Madonna e san Giuseppe con angeli”. L’opera era stata commissionata dal longaronese Gustavo Protti per commemorare la propria figlia Adelina, morta da bambina: ella venne rappresentata tra le nubi al di sotto della Madonna.


Foto 7: Pietro Pajetta, Madonna e san Giuseppe con angeli

La chiesa, infatti, aveva continuato ad arricchirsi di opere per tutto l’Ottocento e per la prima metà del Novecento. Nel 1810 era stato installato l’organo, realizzato dal noto maestro Gaetano Callido, mentre lo scultore vicentino Antonio Bosa, allievo del Canova, adornò l’altar maggiore con due statue rappresentanti le virtù teologali, entro la metà dello stesso secolo. 

L’alzato dell’ultima campata e dell’area presbiteriale ci è noto grazie a un disegno del pittore Abele Della Coletta, risalente al 1939, disegno che gli era servito per presentare gli interventi che avrebbe in seguito eseguito sulle pareti dell’abside, con pitture murali di evangelisti e santi. 

Vi fu un’ultima occasione di notorietà per almeno una di queste opere, quella di Piazzetta. Nel 1954, infatti, venne organizzata al Palazzo dei Vescovi di Belluno la “Mostra di pitture del Settecento nel Bellunese”, che esponeva ciò che di meglio la provincia aveva da offrire. Si interessarono a questa rassegna notevoli personalità nel campo della storia dell’arte, tra cui Giuseppe Fiocco, Rodolfo Pallucchini e Francesco Valcanover; fu proprio quest’ultimo a confermare la mano di Piazzetta nel dipinto di Longarone. 


Foto 8: Il Museo delle Pietre Vive.

Eccoci alla notte del 9 ottobre 1963: bastano pochi secondi perché secoli di storia e cultura vengano cancellati per sempre. 

La nuova chiesa, realizzata in sostituzione di quella antica dall’architetto pistoiese Giovanni Michelucci, si inserisce in quel lungo dibattito sulla ricostruzione del paese di cui abbiamo già parlato nel post 156. La costruzione dura dal 1974 al 1983, ma è giusto dare a questo edificio lo spazio editoriale che si merita, e per questo ne discuteremo sicuramente in un post futuro. Tuttavia, non possiamo tacere la funzione commemorativa assunta dalla chiesa di Michelucci, che celebra l’antico edificio in un’area dedicata, ricavata al di sotto del volume principale. Si tratta del Museo delle Pietre Vive, aperto dopo il termine dei lavori, che raccoglie quanto è rimasto della vecchia parrocchiale. Liberamente accessibile a qualsiasi ora del giorno, contiene le campane, i marmi e le statue che non furono completamente distrutti dall’onda. È un’importante attività di recupero e tutela, ma anche divulgazione: sui muri di questo spazio sono affisse le gigantografie di tutti gli edifici religiosi andati perduti durante quella fatidica notte di ottobre, corredate da puntuali descrizioni. 

[ilCervo]


Bibliografia

Longaronese 1963-2023. Fine e principio, a cura di T. Fornasiero, L. Lonzi, D. L. Paternò, M. Zucco, Belluno, 2023

F. VENDRAMINI, Prima del Vajont. Per una storia di Longarone e dintorni, Caselle (VR), 2016.

 

Sitografia

Chiesa di Belluno-Feltre, https://www.chiesabellunofeltre.it/

Dolomiti Bellunesi, https://www.visitdolomitibellunesi.com/it

Enciclopedia Treccani, https://www.treccani.it/

Museo Longarone Vajont – Attimi di storia, https://www.attimidistoria.it/

Pro Loco Longarone, https://prolocolongarone.it/


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