Per quattro secoli quasi tutti i territori che compongono la provincia di Belluno hanno fatto parte dei domini della Repubblica di Venezia. Belluno e Feltre, con i rispettivi circondari, sono entrati nell’orbita della Serenissima dapprima dal 1404 al 1411, e poi definitivamente dal 1420 al 1797, anno della caduta della Repubblica. Nel 1420 anche il Cadore e Ampezzo sono stati conquistati dai veneziani: il Cadore è rimasto nella Repubblica fino al 1797, mentre Ampezzo è passato agli Asburgo nel 1511. Le contee di Zumelle e di Cesana (oggi grossomodo corrispondenti agli ex comuni di Mel e di Lentiai) sono state anch’esse sotto il controllo di Venezia dal 1404 al 1411 e poi dal 1420 al 1797. Livinallongo e Colle Santa Lucia, invece, non hanno mai conosciuto la dominazione veneziana, venendo annesse alla provincia solo dopo la fine della Prima guerra mondiale.
Per governare i suoi territori Venezia inviava suoi rappresentanti, i rettori, eletti nel Maggior Consiglio della capitale tra i patrizi che ne facevano parte. A Belluno e Feltre la Serenissima destina un rettore con il doppio titolo di podestà e capitano, il cui mandato dura di norma sedici mesi. A Pieve di Cadore è invece mandato un capitano, in carica di solito per un periodo compreso tra i due e i tre anni. Zumelle e Cesana, invece, sono governate come feudi: il primo è di proprietà degli Zorzi dal 1422 fino all’inizio del Settecento, quando passa ai Gabriel; il secondo è invece retto da un consorzio di feudatari facenti capo alle tre più importanti famiglie locali, i Da Col, i De Mozzi e i Vergerio.
Nell’ambito della loro attività di governo la più importante funzione affidata ai rettori è l’amministrazione della giustizia, sia civile sia penale. In questo senso, va precisato che il capitano di Pieve di Cadore esercita queste funzioni solamente nei confronti dei militari e dei salariati della Repubblica, mentre la giudicatura civile e penale è gestita da un vicario nominato dalla Magnifica Comunità di Cadore. I podestà e capitani di Belluno e di Feltre costituiscono invece, ciascuno per il proprio distretto, il più importante tribunale di primo grado al quale i cittadini possono rivolgersi.
Se ci limitiamo a osservare l’ambito penale, al momento del giudizio dei processi penali il podestà e capitano è affiancato da un “assessore” con il doppio titolo di “vicario” e “giudice al maleficio”, nominato dallo stesso rettore al momento della sua elezione alla carica e scelto tra i membri dei collegi dei giuristi delle città della Terraferma veneziana. Rettore e assessore compongono la “corte pretoria”. Inoltre, sia a Belluno sia a Feltre, intervengono in sede di giudizio i cosiddetti “consoli”, rappresentanti nominati dalle rispettive comunità. In questa fase i quattro consoli bellunesi hanno addirittura voto deliberativo in merito alla sentenza da emanare, mentre gli otto consoli feltrini (meglio noti come deputati ad utilia) hanno solamente voto consultivo, comunque strumento importante per influenzare e orientare il giudizio della corte.
Nell’esercizio delle sue funzioni, compresa l’amministrazione della giustizia penale, il podestà e capitano in carica è assistito da un cancelliere, nominato anch’egli dal rettore al momento della sua elezione. Il cancelliere è responsabile della cancelleria e cura in particolare l’istruttoria dei processi penali, acquisendo le testimonianze e interrogando gli indagati. Compito del cancelliere è inoltre quello di trascrivere le sentenze dei processi su degli appositi registri, noti in ambiente veneziano come raspe.
Sia a Feltre che a Belluno si conservano alcune decine di queste raspe, ma sono in particolare quelle di Belluno – conservate all’Archivio di Stato – ad avere un valore del tutto particolare. In ognuno di questi documenti sono registrate le sentenze emesse in un singolo mandato di un podestà e capitano; se ne conservano in tutto 55, che coprono, con alcune lacune, il periodo che va dal 1538 al 1740.
Foto 2 – La sala di studio dell’Archivio di Stato di Belluno
Le sentenze contenute nelle raspe riguardano processi penali relativi a soprusi, ferimenti, uccisioni con armi bianche o con archibugi, incendi, furti sacrileghi, infanticidi, stupri e violenze. Possiamo quindi trovare un ampio campionario di reati e crimini che caratterizzano il Bellunese tra Cinquecento e Settecento e che molto ci dicono sulla società, sulla sua composizione, sull’emarginazione e sull’endemica presenza della violenza a tutti i livelli della popolazione. Nelle raspe finiscono inoltre anche le sentenze emesse contro i danni campestri, noti all’epoca come “danni dati” o “possessioni turbate”, che erano considerati a tutti gli effetti come reati penali.
Foto 3 – Intestazione della raspa di Antonio Bolani (1540-1542)
Un aspetto interessante delle raspe è che, accanto alle sentenze, si trovano molte note che ci raccontano del funzionamento della giustizia in età moderna. Si trovano ad esempio i riferimenti alle liberazioni dalle sentenze di bando dal distretto bellunese o dall’intera Repubblica di Venezia oppure le annotazioni sul pagamento delle pene pecuniarie previste nelle sentenze. In alcuni casi i nomi dei condannati sono barrati: questo significa che il condannato ha espiato la sua pena e viene quindi rimosso in questo modo dal registro delle sentenze penali. Il nome così peculiare di “raspa” deriva proprio dall’atto di cancellare i nomi dai registri. Nel basso medioevo, infatti, i nomi di coloro che avevano espiato da loro pena non erano semplicemente barrati con un tratto di penna, ma venivano raschiati via (raspati, nei dialetti veneti) dal registro. In questo modo i registri hanno assunto la denominazione di raspe.
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Foto 4 e 5 – Coperta della raspa di Bernardino Priuli (1566-1567) |
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Foto 6 e 7 – Coperta della raspa di Angelo Giustinian (1622-1623) |
Le 55 raspe di Belluno presentano poi un’ulteriore caratteristica che le rende uniche nel loro genere. Mentre in altri reggimenti, come nella stessa Feltre, i registri non sono particolarmente curati, presentando semplici coperte in cartoncino con annotati alcune note identificative, a Belluno le raspe sono dotate di splendide coperte in legno. Le coperte delle raspe del XVI secolo sono dipinte, di solito con lo stemma del rettore cui il registro si riferisce da un lato e il leone marciano dall’altro, mentre nel XVII secolo le coperte sono intagliate, sempre con lo stemma del rettore e il leone della Serenissima sui due lati. Non è chiaro perché le coperte dei registri bellunesi siano così curate, ma si può pensare che ciò vada letto in connessione con il privilegio della città di Belluno di poter trattenere per sé gli introiti derivanti dalle condanne pecuniarie, che altrove sono invece introitate dalla Serenissima. Dunque, al cancelliere del rettore spettava il compito di produrre il registro annotando tutte le sentenze penali, mentre altre maestranze – probabilmente al soldo della comunità – si occupavano della legatura dei registri. Dei registri così curati avevano quindi la funzione di affermare e rendere riconoscibile il privilegio di Belluno, pur rimanendo nell’alveo di una simbologia (lo stemma del rettore in carica, il leone marciano) tutta legata alla Dominante.
BIBLIOGRAFIA
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TALAMINI, S., La Serenissima e la Terraferma alpina. Istituzioni di governo veneziane nel Bellunese, Feltrino e Cadore tra Quattro e Settecento, «Archivio storico di Belluno, Feltre e Cadore», 2020 (XCI), n. 366-367, pp. 29-56
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