La storiografia ha sempre privilegiato associare l’immagine dei commerci veneziani ai fascinosi traffici con l’Oriente, ai prodotti più esotici, ai beni di lusso redistribuiti poi in tutta Europa. Ma lo sviluppo di una città e di uno stato popoloso e potente come fu quello veneziano doveva basarsi su un solido sistema di approvvigionamento e di commercio con l’entroterra. In tale contesto, lo sfruttamento dei boschi rivestì un ruolo fondamentale. Per questa risorsa strategica la città godeva di una posizione geografica invidiabile, per via della vicinanza alle Alpi, delle piogge abbondanti e ben ripartite e dei fiumi navigabili.
Il trasporto del legname dalle montagne avveniva con varie tecniche, ma senz’altro la più affascinante era la fluitazione, pratica diffusa in molte zone d’Europa, che sfruttava la rete idrografica che scorreva naturalmente verso la pianura e il mare. Cismon-Brenta e Cordevole-Piave rappresentano i principali assi di comunicazione fluviale che per secoli soddisfarono le necessità di legname della Serenissima, convogliando travi e tavole rispettivamente dai boschi del Primiero, del Cadore e dell’Agordino, ma non solo.
La fluitazione non era solo il mero trasporto del legname, ma collegata a essa coesistevano una miriade di attività e mestieri ad alta specializzazione che sono stati sostituiti con l’avvento di nuove vie e mezzi di comunicazione.
A partire dalla metà del ‘500 famiglie di mercanti di legname si stabilirono nei luoghi strategici del percorso di fluitazione, in particolare a valle dei luoghi in cui le acque da un carattere torrentizio si facevano più navigabili e tranquille, offrendo la possibilità di costruire o prendere in affitto depositi e segherie. Sorsero così una serie di piccoli centri pre-industriali caratterizzati da un’agiata borghesia: tra questi, come si vedrà tra poco, si distinse Fonzaso.[1]
Alle dipendenze dei mercanti lavoravano poi compagnie di boschieri e compagnie di conduttori: i primi si occupavano del taglio e dell’abbattimento, i secondi si incaricavano del trasporto del legname fino agli approdi di fluitazione.
Una volta sramati e scortecciati, i tronchi venivano depezzati secondo le esigenze dei mercanti. Le lunghezze furono per lungo tempo parametrate sull’unità di misura veneziana del piede (34,7 cm). La lunghezza standard del legname da opera era la taia, di norma pari a 12 piedi veneti, cioè 4,17 m, più un paio di decine di centimetri che si prevedevano intaccate dagli urti durante il trasporto. La legna da ardere si commerciava invece in bore di 5 o 12 piedi (bora doppia, di lunghezza uguale alla taia, ma, a differenza di questa, esente da decime).[2]
Salvo cause di forza maggiore, per condurre i legnami verso i corsi d’acqua si impiegava la forza di gravità. Laddove esistevano percorsi adeguati, li si utilizzava in periodo invernale trasformandoli in canali innevati. In molti casi però si costruivano delle condotte artificiali provvisorie o stabili (chiamate rispettivamente risine o cave).
Raggiunta la massima portata d’acqua (allo scioglimento delle nevi, o in tardo autunno, per via dell’alta piovosità) il legname era calato nei torrenti. La menada richiedeva un gran numero di operai per sorvegliare il deflusso del legname lungo il percorso, per controllarne la sosta notturna e il disincagliamento nei punti più impervi, tra anguste rocce di ardua accessibilità.
L’agnèr è l’attrezzo simbolo della fluitazione; si tratta di un arpione dal lungo manico (dai 2 fino agli 8 metri), composto da un puntale affiancato da un rostro ricurvo e appuntito usato per la movimentazione dei tronchi durante la fluitazione ma anche per manovrare la zattera, usato dal XVI secolo fino alle soglie del Novecento. Agnèr è una variante dialettale del termine italiano alighiero, da cui, tra l’altro, il cognome del sommo poeta Dante.[3]
Spesso, per poter usare gli angèr, era necessario legarsi a funi o gettare provvisori e traballanti ponti di legno. Il lavoro era massacrante e spesso aggravato dalle condizioni metereologiche. I rischi di incidenti e di morte sul lavoro tra conduttori e boschieri erano all’ordine del giorno.
Porta del Primiero e passaggio obbligato dalla valle del Vanoi, «l’amplissima villa di Fonzaso» fu per secoli uno snodo strategico e commerciale di prima grandezza per via delle «quantità inestimabili di bellissimi legnami da opera et taglie di ogni sorte che alle sieghe di quel loco sono condotte...».[4] Sorta lungo il fiume Cismon, affluente del Brenta, in corrispondenza di una sua rottura di pendenza, costituiva l’ultima valle pianeggiante prima dei territori Arciducali.
L’espressione «porto di Fonzaso» era di uso corrente tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento. In questo periodo passavano per Fonzaso 40.000 taglie di legno l’anno, contro le 25.000 che scendevano il Cordevole e le 30.000 fluitate lungo la Piave fino a Belluno. Tra il 1693 e il 1713 lungo il Cismon transitavano in media 48.600 taglie l’anno.[5]
Una testimonianza del periodo è quella del podestà di Feltre Francesco da Mosto, che nel 1611 scrive:
«Il territorio (del Feltrino) […] ha cento e vinti ville, e tra queste ve ne sono di molto buone e belle, e fra le altre quella di Fonzaso, villa di molto negotio, e piena di edifiti, e sieghe, per il lavoriero, e transito di legnami che si conducono da paesi alieni in quel luoco per il fiume del Cismon, e di là mettendo esso fiume capo in la Brenta in questa città (di Venezia). Questa villa di Fonzaso essendosi abbruggiata quasi meza il marzo precedente […] con morte de molti, hora per le commodità, non solo de quei medesimi contadini, ma de molti mercanti richi di desene, e forsi centenara de migliara de ducati, che habitano per ocasione del medesimo negotio, è affatto restaurata, e ridotta a miglior stato e condittione di prima, così rispetto alle habitationi fatte più commode e moderne, come nell’ampiezza e drittura delle strade, che la rendono molto vaga e riguardevole».[6]
Francesco da Mosto fa riferimento al grande incendio di Fonzaso, che nel 1609 devastò l’abitato e fece quaranta morti. La ricostruzione della chiesa — che le diede la forma attuale, a navata unica, con otto ampie cappelle laterali – coinvolse «la popolazione con gli esponenti più economicamente significativi, i mercanti di legname». Non a caso, a memento del loro contributo, è presente sulla facciata laterale rivolta alla piazza un grande affresco di San Cristoforo, protettore non solo dei pellegrini e dei viandanti, ma anche dei mercanti.
In quegli anni le famiglie che controllavano le segherie del paese erano quelle degli Angeli, dei Petricelli e dei Maccarini. Di origini differenti (locale la prima, bassanese la seconda e trentino-veneziana la terza), queste famiglie avevano tutte bottega a Venezia, in Barbaria delle Tole. Lì avvennero i primi contatti d’affari che fecero arrivare i mercanti a Fonzaso, dove risiedettero stabilmente e costruirono una forte rete economica e parentale.
A questo potentato (che comprende anche la famiglia primierotta dei Someda) subentrarono successivamente dei nuovi mercanti provenienti da Venezia, Padova e Canale del Brenta, finchè il fonzasino Giovanni Maria Bilesimo segnò la ripresa del potere nell’ambiente del legname da parte di una famiglia locale, tra fine ‘600 e inizio ‘700.
Uno dei motivi principali per cui le famiglie di mercanti si trasferivano a Fonzaso era controllare un nodo storico fondamentale: la Serra di Ponte Alto.
Da sempre a Fonzaso esisteva infatti una serra, importante barriera doganale del vescovo di Feltre. Si trovava verosimilmente nell'area dell'attuale Ponte Serra (edificato in pietra per la prima volta nel 1880) della strada statale per Primiero, dove una breve e strettissima forra scavata dal torrente nelle rocce calcaree era sfruttata come punto strategico di collegamento viario tra la vallata feltrina e i territori di Lamon – attraverso il Ponte Alto (un insicuro ponte di legno) – e per lo sbarramento dell'acqua, in modo da fermare temporaneamente il legname fluitato.
Secondo un antico privilegio episcopale (la cui più prima annotazione diretta risale al 1370), che creava spesso tensioni e proteste tra i mercanti, il vescovo di Feltre era autorizzato ad esigere la decima del legname che scendeva lungo il Cismon, poichè la serra era costruita in diocesi di Feltre, mentre il conto e l’esazione potevano esser fatti a Fonzaso, negli stazii adiacenti alle segherie, anche se l’abitato era in diocesi di Padova [7]. Il controllo vescovile creò nel corso dei secoli tensioni e proteste continue tra i mercanti, che contestavano la legittimità dell’imposizione.
Fonzaso e la serra assunsero anche un’importanza strategica perché, appartenendo al distretto di Feltre, seguirono la città nell’aggregazione allo Stato veneto nel 1404 e, nella rinnovata geografia politica, si trovavano a pochi chilometri dal confine col Primiero, ormai parte del Tirolo austriaco.
Terminate le operazioni di conteggio, la serra veniva aperta per far defluire i tronchi galleggianti nel lago artificiale che nel frattempo si era costituito, e veniva poi riparata ogni anno. Non ci è noto alcun disegno attestante la sua struttura dato che probabilmente non richiedeva particolari progetti nei pur continui rifacimenti.
Il legname in transito veniva poi in parte smerciato verso Feltre e smistato nelle segherie (approntate da mercanti perlopiù veneti) di Fonzaso e lavorato in loco, trasformandolo in semilavorati da opera. Il raccordo tra segherie e corso d’acqua è garantito da una grande rosta, roggia di derivazione dell’acqua che serve a trasportare i tronchi dal corso d’acqua agli stazzi, dove vengono selezionati e accatastati, e a prelevare la massa d’acqua sufficente a muovere le ruote della macchina.
Tale rosta, lungo cui sono allineate le segherie e le attività produttive, in località Pedesalto, si diparte dal Cismon per disegnare un ampio raggio lungo circa 2 chilometri ai piedi del monte Avena, lambire l’abitato e restituire l’acqua al torrente. Nel 1539 la rosta è già diramata in 7 canali. [8]
Negli anni ‘20 dell’800, delle brentane particolarmente violente daranno però il via al lento declino delle attività nella rosta di Fonzaso, che si protrarrà fin con la costruzione della centrale idroelettrica di Pedesalto.
Alla confluenza del Cismon con il Brenta, iniziava, specie a partire da Valstagna, la lunga navigazione tramite zattere. Qui il flusso d’acqua si faceva costante e il fiume godeva della profondità di almeno un metro.
I tronchi venivano legati, tramite legacci di vimini (sache). Le zattere erano nello stesso momento merce da trasferire e mezzo di trasporto: su di esse venivano caricate tavolame, legna da ardere, carbone, animali, utensili, pietrame e anche passeggeri diversi dagli zatterieri.
I sistemi di esbosco e trasporto subiranno una radicale ristrutturazione a partire dai primi decenni del XX secolo. In questo periodo, a seguito dell'ampliamento della rete viaria, al diffondersi delle teleferiche e delle ferrovie, alla canalizzazione dei fiumi e alla deviazione dei corsi d’acqua per scopi idroelettrici, la fluitazione perderà di importanza Sarà un girare pagina che rivoluzionerà l’intero settore fin nelle più remote valli alpine.
A Fonzaso è completamente scomparsa la memoria del lontano periodo nel quale si è avuto il suo massimo sviluppo, ma della prosperità del paese restano ricordi nella sistemazione urbanistica, nei palazzi (il palazzo Angeli, il palazzo Bilesimo ed il palazzo Petricelli, oggi sede del municipio) e nelle chiese, che ancora oggi ne determinano l’immagine. Ne abbiamo parlato nel Post 48, se volete approfondire.
[Taiapria]
NOTE
[1] VIECELI, M., L’immagine per i mercanti di legname veneziani tra il XVI e XVII secolo: fluitazione di materiali e di idee [tesi di laurea], Università Ca’ Foscari, Venezia, 2011/2012, p. 8.
[2] ASCHE, R. - BETTEGA, G. - PISTOIA, U., Un fiume di legno, Torino, 2010, pp. 27-28.
[3] Ivi, p. 65
[4] Parole del podestà di Feltre, Carlo Contarini (1608): Relazioni dei rettori veneti in terraferma, II, Podestaria e capitanato di Belluno. Podestaria e capitanato di Feltre, a cura dell'Istituto di storia economica dell'Università di Trieste, Milano, 1974, p. 318.
[5] ZASIO SIMONATO, B., Taglie, Bòre doppie, Trequarti, Rasai di Seren del Grappa (BL), 2000, p. 134
[6] Relazioni dei rettori veneti in terraferma, cit. 324.
[7] ZASIO SIMONATO, B., Taglie, Bòre doppie, Trequarti, p. 16. Si tratta di un documento intitolato Catastarum seu inventarium bonorum Episcopatus Feltri 1370.
[8] ASCHE, R. - BETTEGA, G. - PISTOIA, U., Un fiume di legno, cit., p. 81
BIBLIOGRAFIA
ASCHE, R. - BETTEGA, G. - PISTOIA, U., Un fiume di legno, Torino, 2010.
VIECELI, M., L’immagine per i mercanti di legname veneziani tra il XVI e XVII secolo: fluitazione di materiali e di idee [tesi di laurea], Università Ca’ Foscari, Venezia, 2011/2012.
ZASIO SIMONATO, B., Taglie, Bòre doppie, Trequarti, Rasai di Seren del Grappa (BL), 2000.
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