Il tar-kashi è una tecnica di artigianato artistico che prevede la creazione di oggetti di legno decorati con inserti, generalmente geometrici, di madreperla, metalli e altri materiali preziosi [foto 1]. Rientra nel novero delle “arti applicate”, cioè quelle che, contrapposte alle “belle arti”, sono volte alla realizzazione di oggetti sì funzionali, ma anche esteticamente gradevoli. Si tratta quindi di opere non finalizzate alla pura ricerca del bello, ma realizzate sempre con uno scopo pratico.
Immagine 1: Zoom Foto (anni 2000). Dettaglio di ripiano di tavolino eseguito da Giuseppe Lancedelli “Iéza” (1919/1936). Proprietà fratelli Lancedelli “Iéza”. In P. GIACOMEL, Tar-kashi 1881. Storia di un’arte indiana a Cortina d’Ampezzo, Cortina d’Ampezzo, 2008, p. 58.
Questo in generale sul tar-kashi: ma cosa c’entra quest’arte, dal suono ben poco ladino, con una valle dolomitica?
Nella seconda metà dell’Ottocento Ampezzo stava vivendo un rapido sviluppo. A partire dagli anni ‘60 era diventata meta ambita di turisti estivi, specie inglesi e tedeschi, e l’economia si stava progressivamente diversificando: a discapito delle attività agricole, tradizionalmente prevalenti, stavano crescendo il settore ricettivo e quello artigianale. Già nel 1846 era stata fondata una scuola d’arte, in cui gli studenti venivano educati al disegno e all’industria, raggiungendo in alcuni settori, come quello della filigrana d’argento (ne abbiamo parlato nel post 117) elevatissimi livelli di perizia e creatività.
È in questo clima che, nel 1881, giunge in Ampezzo il britannico John Coddington [nota 1], di ritorno dall’India. Pare che stia girando da tempo per l’Europa, non solo come visitatore, ma anche alla ricerca di qualcuno a cui trasmettere le sue conoscenze. Nei suoi anni in Asia è infatti entrato in contatto con una tecnica artigianale di straordinaria bellezza, e pare che già a Firenze abbia cercato, senza successo, di introdurre questa lavorazione. Naturalmente stiamo parlando del tar-kashi.
Nel breve tempo che trascorre in Ampezzo il britannico riesce ad insegnare le tecniche apprese in India ad un giovane aspirante maestro della Scuola d’arte, Giuseppe Lacedelli “De Ròne” (1856-1936) [foto 2]. A partire da questo apprendista, che nel 1883 riceve la qualifica di Werkmeister (maestro di lavoro) discende un primo gruppo di artigiani, che espongono con successo le proprie opere all’esposizione di Innsbruck del 1893 e a quella di Bolzano del 1898. La tecnica del tar-kashi si diffonde rapidamente in Ampezzo, dove è insegnata nella locale Scuola d’arte [foto 4] e viene ribattezzata, nel ladino locale, “tarcsc”. Tra gli operatori è anche noto come “laoro da petà inze” (“lavoro di battere dentro”), a causa del certosino lavoro dell’artigiano che con appositi martelletti inserisce gli elementi preziosi negli alloggi predisposti nell’oggetto in legno [foto 8].
Immagine 4: Anonimo (1889). Campionario delle varie tecniche di lavoro, presso la Scuola industriale. In G. RICHEBUONO, Storia d’Ampezzo, Cortina d’Ampezzo, 1993, p. 721.
La produzione di oggetti in tar-kashi cresce e fiorisce per decenni, riuscendo a superare le guerre mondiali, il passaggio dalla monarchia asburgica all’Italia, il mutamento dei gusti. Vengono aperte varie botteghe, tra cui spicca per produzione e longevità quella dei Menardi “Nande”, dove si producono per generazioni scatole, cornici, tavolini, cofanetti [foto 1, 3, 5, 7 e 9], che vengono acquistati dagli ampezzani e soprattutto dai turisti [foto 6]. Tra i committenti si contano anche personaggi illustri, come la regina iraniana Soraya, per cui proprio i Menardi “Nande” realizzarono un cofanetto decorato con una coppia di pavoni nel 1969.
Immagine 6: Anonimo (1939/1940). Campionario della bottega Menardi “Nando”. In P. GIACOMEL, Tar-kashi 1881. Storia di un’arte indiana a Cortina d’Ampezzo, Cortina d’Ampezzo, 2008, p. 65.
Col tempo però il lavoro inizia a scemare, la domanda scarseggia, la produzione cala. Come erede di quest’arte resta oggi in Ampezzo solo un’artigiana, ma la bellezza orientale degli antichi oggetti in tar-kashi adorna ancora numerose, fortunate case.
Immagine 7: Zoom Foto (anni 2000). Portagioie (1881/1914). Anna Rimoldi “Milàn”. In P. GIACOMEL, Tar-kashi 1881. Storia di un’arte indiana a Cortina d’Ampezzo, Cortina d’Ampezzo, 2008, p. 49.
Immagine 8: E. Demenego (anni 2000). Dario Menardi “Nando” nella sua bottega. In P. GIACOMEL, Tar-kashi 1881. Storia di un’arte indiana a Cortina d’Ampezzo, Cortina d’Ampezzo, 2008, p. 42.
[1] Alcune fonti lo identificano in “John G. J. Coddington di Londra, Presidente dell’Oriental-Club” (P. GIACOMEL, Tar-kashi 1881. Storia di un’arte indiana a Cortina d’Ampezzo, Cortina d’Ampezzo, 2008, p. 30). Tuttavia su questa persona non si trovano altri dati, né risulta che l’Oriental Club sia mai stato presieduto da alcuno con questo nome.
Riteniamo invece più probabile che si tratti di John George Thornton Coddington (1841-1891), un ingegnere britannico che operò in India dal 1868 al 1879, lavorando in particolare alla regimentazione del fiume Gange. A causa di problemi di salute, dopo il suo ritiro viaggiò tra Italia e Germania fino al 1883, ed è probabilmente durante queste peregrinazioni che si colloca il suo soggiorno ampezzano.
[pgbandion]
Bibliografia
Per approfondire: P. GIACOMEL, Tar-kashi 1881. Storia di un’arte indiana a Cortina d’Ampezzo, Cortina d’Ampezzo, 2008.
Commenti
Posta un commento