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Post 196 – Leggende bellunesi dell’orrore

 


La tradizione orale della nostra provincia ci ha lasciato una grandissima quantità di materiale narrativo: storie, racconti, favole. Se oggi per noi è scontato ritenerli prodotti di fantasia e scindere questi racconti dalla realtà, però, non è detto che in passato fosse così. Stregoni, fate e altre creature magiche erano considerate elementi reali, spiegazioni razionali dei fenomeni di cui non si comprendeva l’origine. Molto spesso il fantastico si mescolava col fatto storico, creando una narrazione ibrida dai confini sfumati. È il caso, ad esempio, del Concilio di Trento, di cui abbiamo parlato nel Post 94: nei racconti orali, tale sinodo non era servito solamente per riformare la Chiesa cattolica, ma anche e soprattutto per allontanare dal mondo demoni e spiritelli maligni, rinchiudendoli in grandi vasi o ampolle custoditi proprio a Trento.

Questa settimana abbiamo selezionato per voi alcune leggende particolarmente macabre, che trovano identica sostanza ma diversa declinazione in buona parte della provincia.

Il contatto dei vivi con apparizioni ultraterrene era di solito legato a determinate ore del giorno e a precisi periodi dell’anno. In particolar modo, è l’Ave Maria della sera a dischiudere la barriera col mondo dei morti, e a rendere possibile il contatto tra i due mondi. Il regno dell’oscurità è anche quello delle presenze fantasmatiche, che si mostrano ai viventi tendenzialmente quando sono soli.

Ci sono testimonianze dirette di come, fino a non molti decenni fa, udire dei latrati in piena notte veniva diffusamente associato alla caža selvarega, che molti contadini e abitanti delle nostre vallate assicuravano di aver sentito almeno una volta nella vita. Quella della “caccia selvaggia” è una mitologia antica ed estremamente ramificata, legata ai riti di inizio e fine ciclo stagionale. Nonostante questi elementi del folclore si siano conservati in epoca moderna solo nelle aree più marginali, come le vallate alpine, in passato trovavano una diffusione più uniforme in tutta la penisola. Lo testimonia, per fare un esempio molto noto, la novella di Nastagio degli Onesti, nel Decameron (1348) di Giovanni Boccaccio. In ogni luogo dove la leggenda è rimasta, essa ha assunto dettagli e connotazioni diverse: dai funerei arlecchini francesi alla processione di divinità della tradizione nordica. L’elemento comune alle varie tradizioni imparentate alla caža selvarega è ad ogni modo è quello di una numerosa schiera di demoni o simili creature che riemerge dal mondo dei morti in un particolare momento per portare scompiglio nel mondo dei vivi sotto la guida del re dell’inferno, o un’equivalente entità demoniaca. 

Anche nel Bellunese la caccia è spaventosa: una muta di cani demoniaci che fa a pezzi tutto ciò che incontra sul proprio cammino. Secondo la loro natura di narrazioni popolari tramandate oralmente, queste storie si sono costantemente evolute e arricchite di dettagli, tanto che le differenti versioni sono innumerevoli. Questi cani sono talvolta guidati da un cacciatore, il cui nome cambia in ognuna di esse: Baldrìch, Beatrich, Belatrich o, addirittura, “bela Trich”, indicando in questo caso uno spirito femminile. Il linguista Giuseppe Vidossi ha proposto che tali nomi siano un adattamento di “Teodorico”, re degli ostrogoti, di cui si è progressivamente persa memoria. A volte è uno di questi cani a prendere il comando e a guidare la caccia, senza il bisogno di un condottiero. Un altro appellativo di tale apparizione è emblematico per definirne la natura: i “brac del diaol”, i bracchi del diavolo. Quando una persona sente il loro latrato (solitamente accompagnato da raffiche di vento), può soltanto cercare riparo, pena una morte violenta. L’alternativa è recitare un rituale preciso, che allontani gli spiriti: «O cacciatori, date anche a me la vostra caccia!». L’esito è comunque infausto: le prede di questi bracchi sono esseri umani. Il mattino seguente, infatti, a colui che si è protetto declamando la formula, compaiono membra umane davanti alla porta di casa. Ecco che compare un secondo rituale, variamente di natura religiosa. Si può chiedere ad alta voce agli spiriti che si riprendano la loro carne, promettendo che si pregherà per le loro anime; altrimenti, si possono cercare attivamente i cani la notte dopo, riportando il pezzo di carne e tenendo in braccio un gatto nero: quest’ultimo, emissario del diavolo secondo la tradizione, evita che il perseguitato venga assalito.

Come mai questi spiriti hanno in odio gli esseri umani? Perché loro stessi furono uomini, una volta: una versione del racconto (rimanipolata a scopo morale) dice che i bracchi della caža sono gli spiriti dei cacciatori che, ossessionati dalla loro attività, avevano trascurato la messa domenicale. Così dannati, erano stati tramutati in bestie e costretti a vagare in questa forma per l’eternità. L’apparizione della muta demoniaca, infatti, era tradizionalmente più probabile in concomitanza con determinate feste religiose, le Quattro tempora che celebrano l’inizio di ogni stagione.  

Più di ogni altro momento dell’anno, però, erano i giorni attorno a Ognissanti – il 1° novembre – a creare un ponte più solido tra il mondo dei morti e quello dei vivi, secondo tradizioni antichissime diffuse in tutta Europa (le stesse che hanno dato origine ad Halloween). I defunti che si preoccupano di comunicare sono soprattutto coloro che si trovano ancora in una fase di transizione, perché venuti a mancare da poco; alternativamente, la morte imminente di una persona è annunciata da segnali sonori o apparizioni misteriose. Gli spiriti sono quasi sempre invisibili, in queste storie, e si può comprendere la loro presenza da voci, passi e rumori.         
Ben più appariscenti sono le processioni di defunti (scole de mort), che si manifestano grazie a luci nella notte. Secondo la tradizione, infatti, queste anime si aggirerebbero tra i monti e le valli tenendo in mano delle lanterne o delle fiaccole. Abitualmente, esse non sono viste in maniera negativa e risultano innocue per i vivi; il discorso è diverso, invece, per gli spiriti di coloro che hanno trasgredito le norme sociali morendo dannati, i quali tornano a infestare il mondo reale. Talvolta, essi desiderano soltanto l’oblio e domandano aiuto ai vivi, come per il caso delle anime delle Comelle, in Val di Garés: la tradizione popolare ci parla di due ragazze uccise in maniera violenta su quel passo, che di notte apparivano ai viandanti chiedendo una messa per la loro salvezza.

Se in vita non si erano mai incontrati questi spiriti, il folclore offriva una risposta: era stato il Concilio di Trento ad aver tolto la maggior parte di tali creature dal mondo, impedendo loro di manifestarsi ai vivi e perseguitarli.

[ilCervo]



BIBLIOGRAFIA

A. Nardo Cibele, Zoologia popolare veneta, specialmente bellunese, Palermo, 1887

Leggende e credenze di tradizione orale della montagna bellunese, a cura di D. Perco e C. Zoldan, 2 voll., Belluno, 2001

P. Toschi, Le origini del teatro italiano, 2 voll., Torino, 1955.



SITOGRAFIA

G. Enna, La caccia infernale in Iacopo Passavanti, Dante e Boccaccio, https://www.lottavo.it/2020/02/la-caccia-infernale-in-iacopo-passavanti-dante-e-boccaccio/

Leggende della Val Brembana, https://www.leggende.vallebrembana.org/


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