Passa ai contenuti principali

Post 195 - Il lupo nel Bellunese: estinzione e ricomparsa

 


Fin da tempo immemore, il lupo grigio, Canis lupus, ha abitato i territori dell’emisfero settentrionale del nostro pianeta: dalle valli alle pendici delle montagne, dalle foreste fino alle tundre e alle steppe.


Fig. 1: Lupi fotografati in provincia di Belluno dal Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi.

E così, ovviamente, il Bellunese dove, dopo un’assenza di 83 anni, il lupo è tornato a ricoprire il suo ruolo nell’ecosistema, dando prova di grande adattabilità e resilienza. Nonostante la sua lunga scomparsa, il lupo è un animale strettamente legato alla storia e alle culture sviluppatesi nella nostra provincia, come possiamo vedere dalle svariate tracce rimaste negli idiomi locali [Fig. 2].


Fig. 2: Le tracce del lupo nella cultura locale. Tabella presente nella “Sala della caccia” del Museo Etnografico delle Dolomiti a Seravella.

Nel corso del basso medioevo, il Bellunese ha conosciuto una lenta ma consistente crescita demografica, che ha comportato un maggiore fabbisogno di risorse e un conseguente ampliamento delle attività legate all’agricoltura e all’allevamento. Nella prima età moderna, questo processo si è ulteriormente intensificato, portando a:

  1. Cacciagione della selvaggina per pelli e carni;

  2. Sfruttamento intensivo delle foreste per ricavarne legname e combustibile (soprattutto per la metallurgia)

  3. Disboscamento per ampliare i pascoli

  4. Messa a coltura di aree sempre più marginali, riducendo ai minimi termini gli spazi abitati dai selvatici.

Questo impatto antropico, che ha raggiunto il suo apice tra ‘800 e ‘900, ha implicato da molto prima dell’epoca industriale un profondo disequilibrio nell’ecosistema e un conflitto di interessi tra uomo e lupo. Difatti, il calo drastico delle prede ha costretto il lupo a emigrare o ripiegare sui capi di bestiame degli allevatori. Le popolazioni locali, per difendersi da questi attacchi, intrapresero una campagna di caccia attiva, con l’intenzione di sterminare completamente la popolazione di lupo presente sulle nostre montagne. Bisogna considerare infatti che questi animali, all’epoca, causavano un danno economico molto grave per quella fascia della popolazione che viveva già in povertà, e per la quale la perdita di pochi capi di bestiame poteva significare la miseria.


Fig. 3: Tagliola ottocentesca per grossi predatori esposta nella “Sala della caccia” del Museo Etnografico delle Dolomiti a Seravella (Cesiomaggiore).

Già nell’età moderna, per incentivare l’uccisione di questi animali, sappiamo che fosse in vigore un sistema di taglie. Ne troviamo testimonianza nei singoli statuti comunali: ad esempio, nella Magnifica Comunità di Cadore, verso il termine del XVI secolo, veniva assegnata una lira per gli esemplari maschi e due lire per le femmine. In questo periodo, tagliole, fosse e altri tipi di trappole erano gli strumenti maggiormente impiegati per la caccia ai lupi. [Fig. 3]

L’Ottocento segna un crollo senza precedenti nella popolazione provinciale del lupo, tanto che Antonio Maresio Bazolle, nella sua opera “Il possidente bellunese” (1868 – 1890), sostiene che questo animale non fosse più presente nei dintorni di Belluno da circa quarant’anni. Effettivamente, tale affermazione trova riscontro nelle parole di un altro letterato, Tommaso Antonio Catullo, il quale annota, nel 1827, che si potessero trovare dei lupi soltanto negli anfratti più reconditi dei monti alpagoti.
Con la fine del XIX secolo, i lupi autoctoni sono probabilmente del tutto estinti e la loro presenza – testimoniata da uccisioni e riscossione di taglie – è dovuta allo sconfinamento di esemplari singoli dalle zone contermini. Ciononostante, la persecuzione nei confronti di tale animale non muta con il Novecento, tanto che le taglie resteranno in vigore ancora fino ai primi anni Settanta.

La storia del lupo nella nostra provincia, però, si era già conclusa da qualche decennio: il 24 maggio 1929, Antonio Mina, detto Tunin, abbatte in Comelico l’ultimo esemplare che il Bellunese vedrà per quasi un secolo [Fig. 4].


Fig. 4: Osvaldo De Lorenzo (sinistra) e Antonio “Tunin” Mina (destra) con l’ultimo lupo abbattuto in Comelico. Foto presente nella “Sala della Caccia” del Museo Etnografico delle Dolomiti.

Se il lupo fu sterminato in modo sistematico ed efficiente nel nord, lo stesso non si può dire per l’Italia centro-meridionale, dove alcuni lupi (della sottospecie endemica “italicus”) sopravvissero alle continue battute di caccia da parte dell’uomo. All’inizio degli anni Settanta, tuttavia, queste popolazioni erano esigue e frammentarie: se ne contavano meno di duecento esemplari in tutto l’arco appenninico.

Nello stesso momento storico, sull’onda della consapevolezza della necessità di proteggere le popolazioni di lupo, la legislazione nazionale ed internazionale ha progressivamente consolidato la tutela di tale specie. Alcune delle tappe salienti di questo percorso sono: 

  •  il Decreto Ministeriale Natali: proibisce la caccia e l’utilizzo di bocconi avvelenati nei confronti dei lupi (23 luglio 1971);

  • il Decreto Ministeriale Marcora: il lupo diventa a tutti gli effetti specie protetta in Italia (22 novembre 1976);

  • la Convenzione di Berna: un accordo internazionale per la tutela e conservazione delle specie a rischio in Europa, tra cui, appunto, il lupo (19 settembre 1979).

  • la Direttiva Habitat (92/43/CEE recepita in Italia con il D.P.R. 8 settembre 1997 n. 357) che ha riconosciuto al lupo lo status di specie di interesse comunitario richiedente una tutela rigorosa. 

  • la legge 11 febbraio 1992 numero 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio) che inserisce il lupo fra le specie “particolarmente protette” (articolo 2 comma 1).

Con il boom economico e il successivo spopolamento delle montagne che la provincia conosce ormai da settant’anni, l’avanzamento inesorabile delle aree boschive fu il motivo determinante dell’espansione per l’areale del lupo, che vedeva accresciuto anche il numero di prede disponibili.

È partendo da queste premesse che, agli inizi degli anni ‘90, alcuni lupi risalirono gli Appennini, spingendosi fino alle Alpi piemontesi. Fra questi lupi c’era M15, soprannominato Ligabue, un esemplare investito nelle vicinanze di Parma nel 2004, curato e quindi rilasciato munendolo di radiocollare. Egli intraprese un viaggio di novecentocinquanta chilometri per insediarsi infine a Cuneo. Da questo momento i lupi cominciarono a diffondersi sulle Alpi occidentali, tra i confini con Francia e Svizzera. Nel 2010 si registrarono le prime presenze nel Trentino e in Austria.
Il rinnovato insediamento del lupo grigio nel Veneto risale al 2012: nel parco della Lessinia, un esemplare di origine appenninica denominato Giulietta incontrò un maschio di origine dinarica chiamato Slavc. Egli era arrivato dalla Slovenia, passando per l’Austria e per la provincia di Belluno [Fig. 5]. Era stato equipaggiato con un radiocollare dai ricercatori dell’Università di Lubiana, i quali tracciarono il suo percorso fino all’incontro con Giulietta. I due appartenevano a sottospecie differenti ma di una sola specie, Canis lupus appunto, motivo per cui hanno potuto riprodursi e formare una coppia fertile. Cominciano a migrare verso nord, facendo tappa in alcune zone montane del Veneto: Altopiano dei Sette Comuni, massiccio del Grappa e monte Cesen.

Il passaggio di Slavc segna la ricomparsa, dopo un secolo, dei lupi nel nostro territorio: nel 2015 un altro esemplare viene fototrappolato in Val Canzoi e non passa molto tempo prima che alcuni individui – forse discendenti di Slavc e Giulietta – si insedino stabilmente tra il Grappa e le Prealpi. Da qui il lupo inizia a espandere il suo areale in provincia, insediandosi nel Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi nel 2018, con la prima riproduzione documentata risalente all’anno successivo.
Oggi il lupo è presente in buona parte del suolo provinciale: si stimano, in totale, circa venti branchi diversi per una popolazione complessiva di 120 esemplari.


Fig. 5: Il percorso di Slavc monitorato tramite radiocollare GPS-GSM dai ricercatori dell’Università di Ljubljana, Progetto Life SlowWolf. Immagine tratta dal testo di F. Marucco in bibliografia.

Il ritorno del lupo nell’ecosistema dei nostri territori sta avendo e sicuramente avrà una pluralità di effetti diretti ed indiretti sia sulla fauna alpina che sulle attività umane. Nel primo riguardo, le predazioni del lupo sono causa di una diminuzione delle popolazioni di ungulati, che prima del ritorno di questo grande predatore erano contenute solo attraverso l’attività venatoria in base a meticolosi piani di prelievo. Sull’altro versante, le predazioni di animali domestici da parte dei lupi hanno fortemente impattato gli allevamenti. In assenza delle opportune cautele approntate dagli enti competenti ciò potrebbe esacerbare l’abbandono dei pascoli montani e conseguentemente degradare gli habitat di altre specie fragili come i tetraonidi. Consce di questo delicato bilanciamento di interessi, le autorità europee ed italiane nell’ambito del progetto Life Wolfalps EU, monitorano e studiano lo stato di conservazione della specie sull’arco alpino e le misure che possono essere adottate per limitare gli attriti con le attività umane. 

[Vellaiese Gaudente], [ilCervo] e [Bepo]


BIBLIOGRAFIA

F. Marucco, Il lupo. Biologia e gestione nelle Alpi e in Europa, Gavi (AL), 2014

G. Marvin, Il lupo, Milano, 2021

F. Mezzavilla, Il lupo in Cansiglio. Risultato delle indagini 2015-2020, Godega di Sant’Urbano (TV), 2022


SITOGRAFIA

Cronache da Cimolais, https://cimolais.it/

Grandi carnivori in Trentino, https://grandicarnivori.provincia.tn.it

Il Sentiero dei Lupi, https://www.ilsentierodeilupi.com/storie/tracce-nella-storia/

Lo Scarpone: portale del Club Alpino Italiano, https://www.loscarpone.cai.it/

Museo Etnografico Dolomiti, https://www.museoetnograficodolomiti.it/nqcontent.cfm?a_id=12874

The IUCN Red List of Threatened Species, https://www.iucnredlist.org/

Life Wolfalps Eu, https://www.lifewolfalps.eu/


Commenti

Post popolari in questo blog

Post 220 - Storia (breve) di Cortina d'Ampezzo

  I secoli più antichi della storia d’Ampezzo sono avvolti nel mistero, e i pochi indizi che abbiamo sono troppo incerti per poter delineare un quadro sicuro. La prima menzione di Ampicium compare in una pergamena del 1156, e non abbiamo dati archeologici certi antecedenti al Basso Medioevo. Questo non significa che fino a quel momento la conca non fosse abitata – o perlomeno frequentata –, ma, semplicemente, qualsiasi ricostruzione al riguardo, in base ai dati attuali, resta nel campo delle ipotesi. Foto 1: La prima pergamena in cui si nomina il “territorium de Ampicio”. A partire dal Duecento le fonti ci permettono di ricostruire un quadro più preciso. Ampezzo faceva parte del Cadore, ed erano già diffuse le “Regole”: delle istituzioni – ancora esistenti – formate dalle famiglie originarie del luogo, finalizzate alla gestione collettiva delle risorse naturali, come boschi e  pascoli. Il Cadore, già dominio feudale dei conti di Collalto e Da Camino, si costituisce in libera ...

Post 203 - Il Carnevale di Comelico Superiore

  Negli anni recenti il Carnevale in Comelico per molti è diventato una cosa quasi sacra: la preparazione, la vestizione, i riti della giornata sono ritenuti necessari e codificati. Guai se il Matazin si siede durante la festa in piazza, non esiste che a Dosoledo la calotta venga assemblata con le punte come a Casamazzagno e Candide, e ancora tante piccole cose che rendono la giornata complicata e magica. Durante la mia ricerca nel mondo dei carnevali europei ho scoperto che in realtà forse sarebbe meglio parlare di una nuova ritualizzazione dei carnevali. Foto 1:  L’arrivo della sfilata nel carnevale di Santa Plonia a Dosoledo Ma prima partiamo dalla definizione del termine. Oggi il Carnevale si caratterizza per raccogliere una serie di usanze e di pratiche comprese nel periodo tra Epiania e Quaresima.  Ma già si riscontrano dei problemi con l’inizio di detto periodo, dal 7 gennaio è Carnevale? O comincia dopo il 17, giorno di Sant’Antonio Abate? Inoltre qualcuno ha mai ...

Post 192 - Rocca d’Arsié, Storia di una valle stravolta

  Il lago del Corlo è oggi una meta estiva privilegiata della bassa provincia, che attira visitatori del luogo e da fuori per via delle sue bellezze naturalistiche. L’invaso è l’habitat di molte specie ittiche, tra cui alcune protette, e il luogo è ideale per la nidificazione di svariati uccelli acquatici. Questo ambiente tuttavia è stato creato distruggendone uno più antico e altrettanto ricco. Non tutti sanno infatti che l’invaso della diga ha sommerso quella che un tempo era una florida vallata, modificando per sempre le dinamiche sociali che attorno a essa gravitavano. Ma andiamo con ordine: prima di tutto qualche pillola di storia. Come ben si può comprendere dal nome, l’abitato di Rocca sorge come fortilizio in epoca altomedievale, essendo questo situato sull’erto sperone del “Col de la Roca”, che tuttora svetta sopra al paese. Il motivo è ben intuibile: difendere la stretta forra scavata dal torrente Cismon, il quale si getta nella Brenta dopo aver percorso il Primiero e att...