Con il disastroso armistizio dell’8 settembre 1943, si apre per tutta la penisola un periodo di assestamento molto caotico. La questione di come restaurare lo stato fascista e come organizzarlo prevedeva tra le altre cose di assegnare al governo di Mussolini una sede politica e amministrativa.
Il 23 settembre si tiene la prima riunione del Consiglio dei ministri, in cui la questione emerge come urgente: andava risolta entro la fine del mese, individuando una collocazione idonea nel Nord Italia che soddisfasse anche l’autorità tedesca. Il governo italiano non ha più infatti una vera autonomia, essendo la neonata Repubblica Sociale poco più di uno stato fantoccio. Da Berlino a sovrintendere questa operazione, che prende il nome di Gisela, vengono nominati i generali tedeschi Erwin Rommel e Karl Wolff.
Il governo italiano tentò di proporre Milano, come scelta più naturale e per esso dignitosa, ma l’ipotesi di eleggere a capitale Milano – città dove peraltro era nato il Fascismo – viene bocciata, perchè i tedeschi non vogliono concedere agli alleati italiani un centro amministrativo in una posizione così funzionale. Inoltre la città è tutt'altro che un ambiente propenso ad accogliere il nuovo governo fascista, a causa dei malumori della popolazione, delle dissidenze politiche e della forte avversione per l’autorità tedesca (mai sopita forse dalle Cinque giornate di un secolo prima).
La sede va cercata altrove, piuttosto verso il Veneto, dove Rommel e Wolff hanno insediato peraltro i loro quartier generali. Da questo punto le autorità italiane non vengono quasi più interpellate, al punto che delle decisioni di cui discute il comando tedesco pervengono agli italiani solo voci di corridoio e indiscrezioni.
Noi come tali possiamo raccoglierle dalle fonti: Pietro Calamandrei dice di aver sentito discutere di Cortina d’Ampezzo, Padova o Verona; anche Giuseppe Bottai cita Cortina e Verona, aggiungendo anche Como. [1]
Finchè non esce la prima vera candidatura: Belluno. [2] Si troverebbe in un’ottima posizione, in prossimità del quartier generale di Rommel, in una posizione sicura, ben difendibile e sotto il diretto controllo tedesco, essendo la provincia parte della zona d’operazione dell’Alpenvorland (lo ricordiamo, direttamente annessa alla Germania nazista).
Il 30 settembre l’ambasciatore Rudolf Rahn scrive di essersi recato a Belluno per i preparativi necessari, e che «il trasferimento del governo italiano nella sua nuova sede – a quanto è dato prevedere Belluno – avverrà all’incirca entro una settimana». [3]
Emergono a questo punto però le divisioni di vedute all’interno del comando tedesco e le diverse linee di pensiero: l’ipotesi di Belluno viene fermamente osteggiata e sappiamo che il 7 ottobre 1943 è già saltata. Il comandante militare tedesco della zona si era opposto e l’alto commissario Hofer si era dichiarato fortemente contrario alla presenza di istituzioni italiane nell’Alpenvorland.
Bocciata Belluno come nuova capitale la ricerca dei funzionari tedeschi individua quindi, come è noto, Salò come nuova capitale, anche se una buona parte del nucleo amministrativo della neo Repubblica fascista continuerà a trovarsi in Veneto.
NOTE
[1] In M. BORGHI, L’amministrazione centrale dello Stato durante la Repubblica sociale italiana, «E-Review», n. 6, 2018.
[2] F. W. DEAKIN, Storia della Repubblica di Salò, 2 voll., Torino, 1970, p. 764.
[3] In M. BORGHI, L’amministrazione centrale…, cit.
BIBLIOGRAFIA
M. BORGHI, L’amministrazione centrale dello Stato durante la Repubblica sociale italiana, «E-Review», n. 6, 2018; DOI: 10.12977/ereview275
F. W. DEAKIN, Storia della Repubblica di Salò, 2 voll., Torino, 1970.
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