Dopo l’occupazione nazista nel settembre del 1943, la provincia di Belluno venne separata dalla Repubblica Sociale Italiana. Venne creata una vera e propria sfera di influenza tedesca chiamata ‘Alpenvorland’, annessa direttamente alla Germania nazista. Nello stesso periodo peraltro la Repubblica Sociale Italiana prese in considerazione di spostare la sede amministrativa del nuovo governo proprio a Belluno (ci torneremo con un articolo in futuro), opzione successivamente scartata in favore di Salò. Da quel momento in provincia iniziarono a pullulare movimenti antitedeschi, e con essi iniziarono le esperienze partigiane di chi non volle sottostare al giogo nazista.
Anche in questo contesto, fatto che fu comune un po’ in tutta la Resistenza italiana, furono gli ex ufficiali dell’esercito sbandato a disciplinare i giovani ai futuri combattimenti partigiani, dando così forma ai “Nuclei Volontari della Libertà”. Uno dei punti di riferimento nelle Vette Feltrine era proprio Àune, una piccola frazione situata a nord del paese di Sovramonte.
Foto 1: Il comandante “Bruno” (Paride Brunetti), capo della brigata “A. Gramsci” |
Edoardo De Bortoli, ex combattente sul fronte greco-albanese e reduce dalla guerra, era il portavoce del Comitato di Liberazione Nazionale di Feltre, nonché il responsabile per il gruppo di Aune. A lui si affiancò il veneziano Alvise Coletti, giunto nel sovramontino dopo essere sfuggito ai fascisti della laguna. Insieme iniziarono l’addestramento militare dei giovani, e con il giungere dell’estate si sistemarono sul monte Piétena, fissando sulle Vette la loro dimora clandestina. Le Vette Feltrine, dalla Val Canzói al monte Pavione – ai piedi del quale si trova Aune – fin dalla primavera del 1944 costituirono uno dei maggiori luoghi di presidio giovanile di contrasto all’occupazione tedesca: erano di fatto una tra le più consistenti formazioni di resistenza partigiana.
In tal senso Aune fu un punto strategico per la logistica della guerra: garantiva lo sbocco ai sentieri che portavano alle Vette. Qui erano stati nascosti gli approvvigionamenti bellici paracadutati dagli Alleati nella speranza di garantire supporto alla lotta armata contro i tedeschi. Tuttavia, della centralità del paese come snodo per i movimenti partigiani erano coscienti anche gli occupanti. La vicinanza di Aune alle Vette costituì di fatto la sua rovina: la collaborazione del paese con i partigiani portò i tedeschi a continue rappresaglie e rastrellamenti contro la popolazione, che ben si sapeva nascondere e supportare i “ribelli”.
Il 4 maggio del 1944 ci fu un primo scontro: in mattinata una pattuglia di tedeschi, sospettando che le formazioni partigiane stessero pianificando delle azioni, salì sulle Vette. Si imbatterono in tre giovani partigiani bolognesi alla Forcella delle Vette e iniziarono a sparare; nella sparatoria vi furono due feriti, un giovane bolognese e un tedesco. Si recarono poi verso la Busa delle Vette, in cerca dei fuggitivi, e catturarono un quarto giovane. La sera dello stesso giorno, giunse ad Aune il comandante delle SS, e ordinò il raduno in piazza di tutto il paese. Più volte chiese agli abitanti se conoscessero i quattro prigionieri, ma nessuno fiatò. Il comandante, credendo si trattasse di omertà, minacciò di dare fuoco al paese e di massacrare tutti. Nel frattempo, sulla Busa delle Vette si stava organizzando una vera e propria comunità paramilitare, che prese il nome di “Brigata Antonio Gramsci”, i cui membri si denominarono con la qualifica di “Garibaldini”. [1]
È dunque chiaro che i tedeschi consideravano il piano di distruggere Aune da tempo. Il pretesto arrivò dopo una seconda sparatoria, avvenuta il 5 maggio ai danni dei tedeschi che stavano salendo sulle Vette: l’attacco al “Crot dei schei”. [2] Tuttavia, l’intento iniziale era quello di dare alle fiamme solamente le dimore dei partigiani conosciuti, non a tutto il paese. Ma il 9 agosto avvenne un ulteriore scontro con i gruppi partigiani della zona, alla palazzina “Bellati” [3] – situata qualche centinaia di metri sopra Croce D’Aune – che portò alla decisione di prendere una risoluzione più drastica. L’incendio di Aune iniziò il giorno della festa del patrono, San Lorenzo. A questo punto, dopo aver incendiato le malghe del Vallone di Aune, il giorno successivo, l’11 agosto, scelsero di estendere il rogo anche al paese stesso. Erano circa le nove del mattino quando i tedeschi diedero fuoco alle case. Sembra però che la popolazione fosse stata avvertita di ciò che stava per accadere, così gli abitanti di Aune ebbero il tempo di portare via il bestiame e andarsene.
Arrivarono camion colmi di botti di benzina e il comando tedesco provvide ad impregnare di combustibile tutto il paese. In pochi istanti le fiamme divamparono, colpendo casa dopo casa, lasciando attorno a sé solo rovine e fumo. Nel frattempo, gli abitanti sfortunati videro quel che stava accadendo dai prati e sentieri soprastanti il paese.
«Finalmente, sul calar della notte, i tedeschi se ne vanno, mentre ai “Fontanaz”, ai “Pozzi” ed altrove, si tira un respiro di sollievo e si rientra in paese. Dalle macerie, dove il fuoco cova nascosto, escono gli ultimi fumi. I muri nudi delle case arse, scottano, impedendo di appoggiarvi il pagliericcio per dormirvi la notte. Grazie però alla stagione clemente ed alla notte serena, ci si stende all'aperto, per cercarvi un po’ di quiete, accanto alle rovine del paese, che non è più.» [4]
Con l’arrivo della notte, i tedeschi se ne andarono, lasciandosi dietro un cumulo di macerie ancora fumanti. Aune era distrutta; tuttavia c’era un senso di sollievo tra la popolazione, dato che c’era stata una sola vittima. Erano salvi anche il bestiame e il raccolto della stagione. Aune non si diede pace finché il paese non venne ricostruito; ogni relitto recuperabile venne utilizzato per ricostruire muri o tappare fessure. Verso la fine di settembre, le famiglie scappate in altre frazioni di Sovramonte fecero ritorno.
foto 4: Aune dopo l’incendio |
È interessante raccontare anche un’altro aspetto di questa vicenda. Dal punto di vista di altri sovramontini, della distruzione di Aune vennero incolpati gli stessi abitanti; sembra che la presenza tedesca a Servo non fosse vista come la parte “sbagliata” dell’occupazione, almeno non da tutti. Secondo la testimonianza di una donna del paese, che ha vissuto l’occupazione sulla sua pelle, i tedeschi
«…era gente buona, affidabile, gente che capiva tutto e che del male non ne ha fatto, era gente sensibile che non voleva vedersi a fare guerra […] Ad Aune nel momento in cui hanno trovato le case con dentro i partigiani, hanno iniziato a dare fuoco, hanno dato fuoco subito a tutto il paese […] Io dei partigiani ho sempre avuto paura, tagliavano i capelli e ti mettevano la pece nera in testa, per farsi vedere dai tedeschi, perché noi ragazze davamo una mano ai tedeschi, e a loro non andava bene.» [5]
Lei lavorava in un’osteria sottostante a uno degli uffici degli occupanti, e regolarmente intratteneva rapporti colloquiali con i soldati. I tedeschi per lei e altri del paese sono stati una presenza tutt’altro che negativa: con loro si mangiava, dato che spesso essi si occupavano di portare approvvigionamenti sufficienti a sfamare la comunità. Era colpa dei partigiani, e di chi li sosteneva, se i soldati tedeschi erano stati costretti a una reazione così violenta. In tal senso, le azioni partigiane dei nuclei situati sulle Vette erano viste in paese addirittura come un affronto. Ecco come l’incendio, secondo una parte della memoria collettiva, sia stato istigato in qualche modo dai partigiani, e che i tedeschi abbiano agito soltanto di conseguenza.
In conclusione, ad Aune come in altri luoghi d’Italia la guerra partigiana è una memoria divisa. Le ripercussioni, le punizioni, le azioni degli occupanti nazisti in risposta alle azioni partigiane vengono ricordate in due modi speculari: il prezzo da pagare per la Liberazione o una distruzione che si sarebbe potuta evitare se i partigiani non fossero esistiti.
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NOTE
[1] Il comandante “Bruno” (Paride Brunetti) era a capo della brigata A Gramsci (foto 1).
[2] Il 5 agosto i tedeschi misero in atto una spedizione con l’obiettivo di perlustrare la palazzina “Bellati”, avamposto partigiano di Pietena. I partigiani vennero informati tramite una staffetta e si prepararono. Lo scontro avvenne al “Crot dei schei”, dove i partigiani armati di mitra si appostarono in attesa della pattuglia. Superata la curva delle “Fosse”, i quattro partigiani spararono sui soldati costringendoli a ritirarsi. I tedeschi, scesi di nuovo ad Aune, decisero di sfogare la loro rabbia sui paesani, iniziando a sparare contro gli edifici dei civili.
[3] L’8 agosto, un gruppo di partigiani era di ritorno da una spedizione in Val Cismon; decisero di passare la notte nella palazzina “Bellati” prima di risalire sulle Vette. Al mattino seguente, gli uomini della palazzina furono costretti a scappare dalle finestre e ripararsi nei boschi: un gruppo di tedeschi stava per assaltare la palazzina. Dal sentiero sopra la palazzina i partigiani iniziarono a sparare contro i nemici che li stavano inseguendo.
[4] Rizzarda, De Bortoli (1978), p. 181
[5] Intervista a Ernesta Dalla Corte, conservata presso l’archivio personale dell’autrice.
BIBLIOGRAFIA
M. Borghi, L’amministrazione centrale dello Stato durante la Repubblica sociale italiana, Bologna, 2018 pp. 5-6.
R. Rizzarda, A. De Bortoli, Aune nella resistenza 1943-1945, Crocetta del Montello, 1978.
A. Portelli, Storie orali. Racconto, immaginazione, dialogo, Roma, Donzelli, 2007.
SITOGRAFIA
https://www.sovramonte.it/territorio-e-tradizioni/i-borghi/aune.html
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