A inizio Seicento l’Italia settentrionale è scossa da eventi funesti: per diversi anni si susseguono raccolti scarsi, a causa delle condizioni climatiche avverse. La morte di Vincenzo II Gonzaga scatena la Guerra di successione di Mantova e del Monferrato, in cui Impero, Spagna e Savoia si scontrano con Francia e Venezia; truppe di soldati provenienti da mezza Europa saccheggiano e devastano città e campagne, infierendo su una popolazione già provata dalla penuria di cibo. Alla carestia e alla guerra manca però ancora una compagna: «a peste, fame et bello libera nos Domine» recita una delle formule delle rogazioni. E la peste non tarderà ad arrivare.
L’Altare delle Anime (1687), scolpito da Andrea Brustolon, nella pievanale di Zoldo |
Nella tarda estate del 1625 la sua presenza viene accertata in Stiria, Carinzia, Salisburghese e Carniola, ma anche nella vicina Carnia; nel giro di pochi anni, serpeggia ovunque a sud delle Alpi. Tra l’agosto e l’ottobre del 1628 il Rettore di Belluno, avvertito dai Provveditori alla sanità circa «l’importante negozio di sospetti di peste» (1), ordina che tutti i passi siano presidiati da guardie, vieta di percorrere le strade «che non sono comuni», e ordina agli osti di non ospitare alcuno che non sia provvisto di regolare «fede di sanità» (cos’è? Ne abbiamo parlato nel Post 78!). A dicembre, avuta notizia che a Livinallongo si celebrano le Quarantore (una pratica devozionale) a protezione dalla peste, vieta il transito a chi provenga da quelle zone, e fa distruggere «alcune strade nella sommità della montagna impossibili da custodire».
Nonostante queste precauzioni, già nel 1629 in Zoldo si registra un numero di morti superiore alla media degli anni precedenti; nel dicembre del 1630 viene accertata la diffusione della peste. L’epidemia colpisce indistintamente ricchi e poveri, giovani e vecchi; il male è repentino: «in poche ore rapina gli infetti», riferisce il Rettore di Belluno. Da gennaio a maggio del 1631 la situazione continua a peggiorare, fino a raggiungere l’apice durante l’estate del 1631, quando muoiono due-tre persone al giorno. In questo periodo dovrebbe collocarsi l’episodio, trasmesso dalla tradizione, delle «Mura di Soffranco», che sarebbero state erette o rinforzate per impedire agli zoldani di uscire dalla loro valle e diffondere ulteriormente il morbo.
Tra XVII e XVIII secolo in Zoldo crolla il numero di forni e fucine (legate alla lavorazione del minerale) e cresce quello delle «fusinelle« (in cui si recupera ferro vecchio) |
Sono mesi in cui la società civile viene stravolta: il Rettore di Belluno, verso la fine del 1632, riferisce che molte persone sono morte senza fare testamento. I registri dei defunti della Parrocchia di San Floriano, corrispondente alla parte bassa della valle, si interrompono del tutto il 3 giugno 1631, per riprendere solo nel 1633. E le informazioni che ci forniscono sono inaffidabili: nel giugno 1631 il notaio Giacomo Zampolli compila un elenco di vittime dell’epidemia nei sei mesi precedenti, ma tra i morti di maggio non se ne trova uno in comune con quelli registrati per lo stesso periodo nel libro parrocchiale di San Floriano.
Infine, anche la peste esaurisce la sua spinta: tra estate e autunno i contagi iniziano a placarsi, e il 23 dicembre 1631, visto che da due mesi non si registrano più malati, il Rettore delibera di «restituire al solito libero commercio» tutto il Capitanato di Zoldo «per le prossime Sante Feste». Tanto è il sollievo che perfino i cittadini di Belluno decidono di istituire una processione annuale, che si snoda dalla Cattedrale fino alla Chiesa di San Rocco, protettore dalla peste.
La chiesa di Bregarezza |
Con la fine del 1631 la valle cerca di avviarsi a una nuova normalità, che però non potrà essere un ritorno al passato: studi recenti calcolano che fra il 1629 e il 1631 sia morta intorno al 40% della popolazione zoldana, all’epoca di circa 1800 abitanti. Con loro sono andate perdute anche tante delle conoscenze e competenze legate alla siderurgia, il pilastro (anche se già da decenni in declino) su cui si fondava l’economia di Zoldo. La popolazione tornerà ai livelli precedenti all’epidemia solo all’inizio del Settecento, ma a quel punto le attività con cui integrare la povera economia agricola non saranno più l’estrazione e la lavorazione dei minerali, ma il recupero di ferro vecchio (soprattutto per la produzione di chiodi) e l’emigrazione.
La chiesa di Gavaz |
La peste del Seicento rappresenta un evento epocale per la Val di Zoldo, di cui fu stravolto l’intero tessuto economico e sociale. Di questo flagello resta vivo il ricordo nella memoria collettiva, ma anche in tanti segni tangibili sul territorio: la tradizione orale collega numerosi nomi di luoghi a sepolture collettive di appestati (le varie «Fosse» e «Buse dei mort»), anche se spesso questi toponimi sono documentati già prima del flagello del 1629-1631. Eredità ancora più notevoli sono poi le chiese di Bragarezza e Gavaz, entrambe dedicate a San Rocco, e costruite per adempiere al voto fatto dagli abitanti dei rispettivi villaggi in occasione dell’epidemia. Ancora oggi, testimoniano la loro invocazione: «a peste, libera nos Domine!»
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Note
(1) Questa e le successive citazioni sono tratte da VERGANI R., Peste e declino industriale in una valle alpina: la valle di Zoldo (Belluno) nella prima metà del Seicento, in CAVACIOCCHI S. (a cura di), Le interazioni fra economia e ambiente biologico nell’Europa preindustriale secc. XIII-XVIII, Firenze, 2010, pp. 310 e seguenti.
Fonti bibliografiche
CROATTO E., Vocabolario del dialetto ladino-veneto della Val di Zoldo (Belluno), Costabissara, 2004
MIARI F., Cronache bellunesi inedite, Belluno, 1865
VERGANI R., Peste e declino industriale in una valle alpina: la valle di Zoldo (Belluno) nella prima metà del Seicento, in CAVACIOCCHI S. (a cura di), Le interazioni fra economia e ambiente biologico nell’Europa preindustriale secc. XIII-XVIII, Firenze, 2010, pp. 305-317
VIZZUTI F., Tesori d’arte nelle chiese dell’Alto Bellunese. La Val di Zoldo, Belluno, 2005
Referenze iconografiche:
Dettaglio dell’Altare delle Anime: https://www.google.com/url?sa=i&url=https%3A%2F%2Fwww.flickr.com%2Fphotos%2Fa-little-come-back%2F25383220243&psig=AOvVaw0Bc6sVB3c6EH8uSuIKR_kK&ust=1708970615066000&source=images&cd=vfe&opi=89978449&ved=0CAUQjB1qFwoTCKC3iuaJx4QDFQAAAAAdAAAAABAE
Tabella: Vergani R., «Peste e declino industriale in una valle alpina: la valle di Zoldo (Belluno) nella prima metà del Seicento», in Cavaciocchi S. (a cura di), «Le interazioni fra economia e ambiente biologico nell’Europa preindustriale secc. XIII-XVIII», Firenze, 2010, p. 315
Chiese di Bragarezza e Pianaz: https://www.pievezoldo.it/
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