Anche in questo caso trattiamo di una parola che ha un antenato comune in tutte le varianti linguistiche del territorio provinciale: il latino frigidum (nel caso accusativo). Già in piena latinità, la pronuncia della -M finale si sfuma man mano, fino a che, nei primi secoli dopo Cristo, finisce per non essere più pronunciata.
Ma il fenomeno più interessante è la progressiva contrazione, fino a sparire, della -I- della seconda sillaba. Arriviamo quindi a una forma *frigdu.
La caduta della -I- porta a contatto due suoni consonantici molto marcati. La -G- subisce a questo punto quella che si chiama un’ “assimilazione”: ovvero viene assimilata all’altro suono consonantico adiacente, la D (pensate ad altre parole italiane derivate dal latino, ad es. pactum>patto).
Avviene anche l’evoluzione della -I- (breve, nella forma tardo-latina) in -e-, su cui non ci soffermiamo.
La consonante lunga -DD- (quelle che comunemente chiamiamo “le doppie”) si abbrevia, come in tutte le varianti linguistiche della regione. Ecco quindi che arriviamo all’ultima forma comune a tutti gli idiomi della provincia: fred, che questa volta è davvero attestata, e che scriviamo quindi senza farla precedere da asterisco.
L’evoluzione qui si biforca:
-le varianti cadorine e comeliane mantengono il suono -d finale;
-in tutti gli altri territori — con l’eccezione del Lamonese — avviene invece il fenomeno che porta la -d finale a perdere sonorità (frequente in molte varianti). La -d viene pronunciata in modo sempre più sordo, fino ad evolversi definitivamente in -t.(1)
Nel cadorino quindi fiorisce un’ulteriore fase di evoluzione fonetica che riguarda in particolare la vocale -e-, che subisce dittongamento. Ad esempio:
frèido (Campolongo),
a Padola la finale inoltre si chiude e diventa -u, frèidu;
a Costalta la -e- si arrotonda e diventa -ö, fröido.
In Val Boite evolve ulteriormente anche il nesso fr- con il dittongo -ie:
con inserzione di una vocale d’appoggio (vocale “epitetica”) tra i suori F e R in fariédo (Borca);
con perdita della -r- nell’ampezzano fiédo.
Tra quelle che mantengono la -t finale abbiamo:
Bellunese e Feltrino, che conservano la forma originaria frét. Fa eccezione il Lamonese freð (con il suono ð dell’inglese “those”), che mantiene dalla fase ancora precedente la parziale sonorità della -d finale;
fret è la variante anche delle zone di Zoldo e Agordo, tranne a la Valle Agordina, dove avviene il consueto dittongamento in fréit;
a Livinallongo ugualmente la -e- si evolve nel dittongo -ei-, di fréit.
Articolo scritto in collaborazione con MUSLA. Post a cura di [Nic]
NOTE
T e D sono due fonemi gemelli: il movimento che si produce con la bocca per articolarli è il medesimo, tranne per il fatto che nella T le corde vocali non vibrano, mentre nella D sì. Lo stesso vale per le coppie F e V; P e B; C e G…si chiamano appunto “sorde” e “sonore”.
BIBLIOGRAFIA
PELLEGRINI, G. B. – SACCO, S., Il ladino bellunese. Atti del convegno internazionale (Belluno, 2-3-4 giugno 1983), Belluno, Istituto bellunese di ricerche sociali e culturali, 1984;
Atlante linguistico del Ladino Dolomitico e dei dialetti limitrofi (ALD), consultabile al link: https://www.ald.gwi.uni-muenchen.de/it/suche/?db=ald1
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