Passa ai contenuti principali

Post 155 - Col Praoi, un sito d’altura neolitico

 

Quando si parla di Neolitico nel territorio del Bellunese, ci si ritrova con pochi dati, spesso non ben compresi. I pochi siti o reperti sporadici studiati e pubblicati ad oggi risultano di difficile interpretazione e spesso si tratta di un’interpretazione sommaria e sbrigativamente contestualizzata.

I dati di maggiore precisione e di facile lettura provengono da quei pochi siti indagati stratigraficamente, come il già citato Bus del Buson a Belluno (post 125), i ripari di Lamen (post 113) e il riparo del Mandriz a Selva di Cadore.
 
Ricostruzione di Col Praoi. Disegno di D. Maoret, 2000.

Un altro sito risulta interessante, ma purtroppo la sua esplorazione archeologica si è limitata alla sola ricognizione di superficie ad opera di due importanti realtà associative locali: Il Gruppo Archeostorico Cesiolino, rappresentato da N. Barp e D. Maoret, e gli Amici del Museo di Belluno, nelle figure di C. Mondini e A. Villabruna. La scoperta è avvenuta dopo delle arature del pianoro, portando alla luce numerosi reperti litici come schegge, lame, grattatoi, punte di freccia.

Le aree indagate si trovano a nord dell’altura posta in zona dominante sulla Val Belluna: di fatto è stato possibile indagare solo le aree pianeggianti dato che le abitazioni si trovano sulle due alture presenti.

Col Praoi visto da sud con il drone (foto dell'autore)
Col Praoi visto da ovest con il drone (foto dell'autore)

L’industria litica rinvenuta, cioè l'insieme dei prodotti della lavorazione della selce, presenta delle caratteristiche molto vicine a quelle riscontrate nel coevo sito del Col del Buson. Se solitamente in siti analoghi si può individuare una preferenza degli abitatori dell’epoca per una particolare varietà di selce, qui il tipo impiegato spazia da quella della formazione del Biancone a quella della Scaglia rossa. Nell’insieme sono presenti anche dei nuclei di selce, la matrice da cui si staccavano le lame e le schegge. Questi presentano una lavorazione simmetrica e ben organizzata, indice di una tecnica raffinata volta a una standardizzazione alta della lavorazione. Tale elemento permette di datare l’insediamento tra il Neolitico recente e l’Eneolitico (anche detto Età del Rame). Ci troviamo quindi grossomodo tra il V millennio e l’inizio del II millennio a.C.

Non solo i nuclei, ma anche i vari strumenti rinvenuti ci raccontano di rapporti e scambi tra i vari siti bellunesi, consentendo così di datare il sito: è il caso dei bulini a uno o due stacchi laterali (strumenti che presentano degli stacchi lungo la parte tagliente per aumentare l’inclinazione della stessa), grattatoi a troncature normali e oblique, raschiatoi denticolati, perforatori e i “foliati” (chiamati così perchè sono abilmente lavorati per ottenere delle forme complesse: per ottenerle bisogna praticare una tecnica particolare che consente di ottenere schegge molto sottili). La foggia di tali manufatti è tipica della cultura Chassey-Lagozza. [1]

Punte di freccia e strumenti. Disegno di M. Curto, 2022.

Questo insieme di elementi consente di datare il sito dall'ultima fase della cultura dei Vasi a Bocca Quadrata (VBQ III o “stile a incisioni e impressioni”), dalla cultura di Chassey-Lagozza a tutto l’Eneolitico (cultura di Remedello e cultura del Vaso Campaniforme). 

Il sito, posto in un pianoro ai piedi dei monti sul versante nord della Val Belluna, doveva probabilmente fungere sia da area residenziale, sia come base per quelle attività che nel Neolitico e nell’Eneolitico ancora erano predominanti, quali la caccia e il recupero della preziosa selce alle quote maggiori. Sicuramente doveva essere in collegamento con gli altri insediamenti  della zona, come Vignui, Sovramonte e Lamon, tutti insediamenti posti in posizioni che garantivano il controllo dell’area e degli accessi alle montagne.

Un sito importante che avrebbe molto ancora da raccontare, nella speranza di future indagini. Non ci resta che continuare ad immaginare un mondo lontano sia nel tempo che nei nostri modi di vivere, ma allo stesso tempo ancora presente e vivo nelle realtà delle nostre comunità di montagna.

[MattIki]

Note:
[1] Risulta impossibile definire l’insieme immateriale che costituisce la cultura e le tradizioni di un popolo, però tramite degli oggetti abilmente lavorati si possono cogliere delle differenze nella lavorazione e nelle decorazioni. Questi insiemi di elementi materiali caratteristici di alcuni gruppi umani vanno a definire le cosiddette “culture materiali” che consentono agli archeologi di datare, a spanne, i siti senza bisogno di ricorrere a particolari tecnologie.

Commenti

Post popolari in questo blog

Post 38 – Il Sas del Diàol, a Facen

  Oggi vi parliamo di un misterioso masso inciso!  Si chiama “ Sas di Pirulava ” o più notoriamente “ Sas del Diaol ”, ed è stato scoperto da Candido Greco nel 1977, studioso che ci ha fornito la prima descrizione delle incisioni presenti. Il masso è di dimensioni di circa 90 x 110 cm ed è leggibile solo nella faccia orientata verso sud-est. Presenta una decina di segni a forma di croce, di cui tre che poggiano su dei cerchi contenenti altre croci di dimensioni minori e quella che sembra una lettera “A”. Greco interpreta le iscrizioni come simboli preromani, individuando dei numeri etruschi dei quali i Reti si sarebbero serviti per misurare le libbre di fieno tagliato in loco. Inoltre altri simboli parrebbero legati al culto di Mitra.  Nelle note del testo, inoltre, vengono presentati a titolo esemplificativo e comparativo ulteriori massi che riportano croci incise, ma dotati anche di coppelle. Un appunto: nel testo si fa riferimento a questo masso come quello che secondo la leggenda s

Post 147 - La chiesa della discordia

  In alcuni post precedenti ( post 123 e 124 ) abbiamo ricostruito la storia delle frane dell’Antelao che hanno coinvolto Borca e San Vito. Durante la frana del 7 luglio 1737, stando alle memorie del pievano Bartolomeo Zambelli, il primo edificio a restar sotterrato fu la chiesa di San Canciano che sorgeva sul confine tra Borca e San Vito, chiesa che fu in seguito ricostruita accanto all’antica Strada regia ( post 101 e 102 ), nel territorio di San Vito, ad una novantina di metri dal confine. Ne nacque molto tempo dopo una contesa, di cui vi parleremo oggi. La storia della chiesa di San Canciano è assai antica. Vi è infatti un atto notarile datato 1418 rogato dal notaio Bartolomeo fu ser Ungaro in cui il testatore lega due prati in val di Tiera al lume di San Canciano: in altre parole si lasciava per testamento due prati alla suddetta chiesa perché col ricavato si mantenesse un lume acceso per il santo [1]. Dai documenti delle visite pastorali del 1604 conservati nell’Archivio della Cu

Post 104 – Il colle delle ville. Prima parte.

  La nostra provincia è principalmente nota (se davvero è nota per qualcosa) per le sue splendide catene montuose. Meno noti potrebbero essere invece gli intriganti paesaggi rurali della Valbelluna, valle collocata tra le Prealpi e le Dolomiti e percorsa in quasi tutta la sua lunghezza dal fiume Piave, alimentato da numerosi affluenti che scendono dai monti circostanti. Al di là di centri come Feltre, Sedico, Trichiana o Belluno stessa, caratterizzati dai tipici processi di urbanizzazione degli ultimi decenni, questa porzione di territorio è punteggiata da centri minori, fattorie, case rurali e ville venete.  Nella zona circoscritta che prendiamo in considerazione in questo post, un colle collocato a nord-est di Feltre, i segni di un passato rurale sono tuttora ben visibili nella campagna delle frazioni Vellai e Cart e delle località loro circostanti. Uno degli elementi più suggestivi di questo paesaggio, facilmente idealizzabile nel ricordo dei “bei tempi andati” (e forse mai esistiti