«Si vedeva Gares bruciare dalla finestra della cucina». Questo è ciò che mia nonna mi racconta ricordando quanto accaduto il 20 agosto 1944, quando a soli 6 anni guardava in lontananza, dalla finestra della casa dove abitava a Cogul (frazione di Vallada Agordina), il paese di Gares dato alle fiamme.
Il 20 e 21 agosto del 1944 vengono spesso ricordati come le giornate della “strage della Val del Biois”. Questa piccola vallata dell’Alto Agordino si trovava, all’epoca, sotto l’occupazione tedesca che già dal settembre del 1943 aveva annesso al Reich le province di Belluno, Trento e Bolzano con il nome di Alpenvorland.[1] Nonostante ciò, la Val del Biois rappresentava una zona di difficile controllo, con una buona presenza di gruppi partigiani impegnati spesso in missioni nelle aree limitrofe; il presidio tedesco più vicino, infatti, si trovava a Cencenighe Agordino e pare che i pattugliamenti nei paesi e lungo le strade fino ai passi Valles e San Pellegrino fossero radi. [2]
L’azione tedesca venne organizzata con la volontà di reprimere i gruppi di partigiani presenti nella vallata e, probabilmente, di minare il rapporto di intesa tra questi e la popolazione civile. Con molta probabilità l’episodio scatenante fu la partecipazione di un gruppo di partigiani provenienti dalla Val del Biois ad un agguato teso una decina di giorni prima sull’Altipiano delle Comelle ad una pattuglia di SS tedesche di stanza a San Martino di Castrozza. Volendo quindi punire i mandanti dell'imboscata venne organizzata una manovra a tenaglia che beneficiò, forse, di una spiata: la rappresaglia colpì infatti in un momento in cui la valle era quasi indifesa, perché la maggior parte dei partigiani era impegnata in missione altrove.[3] La mattina del 20 agosto 1944 le truppe tedesche e altoatesine giunsero in Val del Biois dall’area trentina divise in due colonne: una comandata da Erwin Fritz scese dall’altopiano delle Comelle verso la Val di Gares, mentre un’altra, condotta da Alois Schintlholzer, raggiunse Falcade attraverso i passi Valles e San Pellegrino. Dopo aver saccheggiato e bruciato il paese di Gares la colonna tedesca si diresse prima verso Canale d’Agordo e successivamente si riunì, dopo aver dato alle fiamme anche la frazione di Fregona, a quella di Schintlholzer. Questa seconda, giunta dapprima a Falcade, riuscì a raggiungere faticosamente Caviola solo in tarda serata, a causa della resistenza di un piccolo gruppo di partigiani alle porte del paese. Qui, infatti, sul ponte sul torrente Gaon i pochi partigiani rimasti in valle organizzarono la difesa, aiutati, si racconta, anche dalla stessa popolazione civile. Verso sera furono però costretti alla ritirata.[4]
L’esercito tedesco catturò circa 200 ostaggi che vennero portati nell’autorimessa della ditta “Buzzatti” a Falcade, di fronte all’albergo Focobon utilizzato come quartier generale delle truppe tedesche. Il giorno successivo, il 21 agosto, 8 di questi vennero prelevati e fucilati sul greto del torrente Biois. Solo nel pomeriggio dello stesso giorno, i nazisti iniziarono la ritirata verso l’area trentina lasciando dietro di loro una scia di distruzione.[5]
Al termine delle due giornate i paesi dati alle fiamme furono: Gares, Fregona, Feder, Tabiadon, Tegosa e Caviola. I dati riguardanti le vittime sono ancora oggi incerti, in quanto, data la complessità degli eventi, le fonti tendono a riportare numeri differenti; il bilancio che viene riportato su una lapide esposta in Piazza XX agosto a Caviola riporta il numero di 4 vittime; inoltre, più di 600 persone rimasero sfollate senza casa a seguito della distruzione di più di un centinaio di case e fienili.
Oggi la memoria di queste giornate rimane viva grazie alle iniziative che ogni anno vengono organizzate in concomitanza con l’anniversario. Passeggiando poi per i paesi di Falcade e Caviola è possibile vedere, sulla piana di Falcade, il monumento posto nel luogo dove avvenne la fucilazione degli 8 ostaggi avvenuta il 21 agosto mentre a Caviola è affissa la già citata lapide.
Crediamo nell’importanza di mantenere viva la memoria di questi avvenimenti soprattutto ascoltando e tramandando i racconti di chi li ha vissuti sulla propria pelle perché ci rammentano, tra le altre cose, di quanto la storia che si studia a scuola sia più vicina a noi di quanto si pensi. Spesso quando si vive in un piccolo paese montano i fatti della grande storia sembrano qualcosa di distante, si fatica a sentirli come propri; invece, avvenimenti come quello raccontato aiutano a ricordare quanto anche le piccole storie dei nostri paesi si intreccino a quella scritta nei libri.
[Look]
NOTE
[1] Conte 2013, p.138.
[2] Pellegrinon 1983, p.165; Boschis 1986, pp. 117-118.
[3] Pellegrinon 1983, p. 166.
[4] Pellegrinon 1983, p. 167.
[5] www.straginazifasciste.it.
BIBLIOGRAFIA
Boschis L., 1983, Le popolazioni del bellunese nella guerra di liberazione 1943-1945, Feltre, pp. 117-118.
Conte P. 2013, Belluno. Storia di una provincia dolomitica. Dalla caduta di Venezia a giorni nostri, vol. 3, Udine, pp.138.
Pellegrinon B. 1983, Falcade attraverso i secoli, Bologna, pp. 165-168.
SITOGRAFIA
https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=4152.
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