Passa ai contenuti principali

Post 144 - Le Regole del Cadore

 


Le Regole sono organismi di origine medievale che persistono in particolare in alcuni luoghi del Cadore e in Comelico. Hanno origine probabilmente nel XI secolo, ma le prime menzioni scritte le abbiamo nel XIII secolo grazie al signore feudale dell’epoca in Cadore, Gabriele da Camino, che divide le mansioni amministrative tra il comune (Cadubrii) e le organizzazioni dei villaggi (Regule).



Queste Regule sono conosciute anche come Vicinie e cioè un abitato o un gruppo di persone con beni in comune. Il fenomeno delle Vicinie è esteso e spesso contribuisce alla stesura degli statuti comunali, ma, una volta formatosi il comune, ed è questo il caso per esempio di Belluno, esso norma e delimita il potere delle Vicinie fino a soffocarle e a prenderne il posto. In Cadore questo non accade perché il comune non ruota attorno a un grosso centro come quello di Belluno o di altri insediamenti più consistenti. Il territorio comunale di quella conosciuta successivamente come la Magnifica Comunità di Cadore è disseminato da piccoli villaggi con pressappoco lo stesso grado di importanza. Inoltre l’area da amministrare è vastissima e determina per questo un processo inverso rispetto ai comuni “cittadini”, con la promozione della crescita e dell’autonomia delle Vicinie. Non guasta nemmeno la posizione geografica, lontana del signore feudale il cui potere è quindi indebolito dalla distanza.

Conosciuti con il nome di laudi, i primi statuti regolieri di cui abbiamo testimonianza nascono anch’essi nel XIII secolo. Nel tempo, seguendo la storia demografica dei villaggi, questi laudi si moltiplicano in numero e in lunghezza e si adattano alle necessità amministrative del tempo.



Nei primi laudi si normano le tavelle o gei, terreni soggetti a colture vicine ai centri abitati, recintate e sprovviste di costruzioni. Man mano che passa il tempo, nelle tavelle si costruiscono fabbricati rurali per il deposito del fieno, dei prodotti agricoli o del bestiame e queste si moltiplicano andando anche lontano dai paesi.

Si norma anche l’attività dei pascoli che se prima era libera fuori dalla stagione agricola e dai terreni vizzati (che oggi probabilmente descriveremo come soggetti a vincolo e tutela), diventa sempre più precisa e inquadrata nei laudi. Nascono così anche diversi tipi di Regole proprio in base al territorio che amministrano e al tipo di attività che normano. Nel periodo tra il XIII e il XIV secolo i laudi vengono spesso riscritti e ampliati per andare incontro ai cambiamenti delle Regole e della gestione dei beni.  

Stemma della regola di Padola

Una modifica importante viene introdotta nel XV secolo. Fino a quel momento la maggior parte del bosco era considerata terreno “libero”, si poteva far pascolare il bestiame, tagliare legna per il fuoco e le abitazioni o dissodare il terreno per creare ulteriori pascoli o coltivazioni. Le Vizze, nome che dal XIV secolo prendono i boschi definiti dai laudi come di proprietà di una Regola, cominciano a crescere. A seguito di controversie sui confini boschivi, viene richiesto l’intervento della Comunità di Cadore. Questa vieta l’appropriazione da parte delle Regole delle Vizze tramite scrittura sui laudi. Questo fatto denota il moltiplicarsi dell’interesse regoliero verso i boschi e di conseguenza l’imposizione di pesanti divieti ai “foresti” e soprattutto ai “regolieri”, che non possono più godere dei  beni comuni a proprio piacimento. Le Vizze cominciano a essere puntigliosamente specifiche, tanto che in uno stesso bosco una Regola possiede la vizza da dassa e zema (larici e abeti), un’altra il terreno pascolabile e un’altra ancora la vizza da foglia. Si creano Vizze specifiche anche per determinati scopi come quella da fabbrica (per il legname da costruzione), quella per la costruzione dei tubi dell’acquedotto o ancora altre che miravano a dare il ricavato del taglio degli alberi a una determinata causa. Ciò nonostante nei laudi ci si occupa poco dei boschi fino agli ultimi secoli di vita delle Regole.

A questo punto le Vicinie hanno strutture e cariche ben delineate, alcune di queste specifiche di particolari Regole. Le cariche e gli organi regolieri più  importanti e generalmente condivisi dalle varie realtà erano il marigo, i laudatari, i saltari, i visendieri e la fabula.

Il marigo è il rappresentante legale della Regola e spesso detiene molteplici funzioni amministrative e finanziarie, specialmente nelle realtà più piccole. Viene eletto ogni anno nella prima assemblea e cede il posto l’anno seguente. In principio era sia a servizio del signore feudale che rappresentante di un’organizzazione autonoma, mentre in seguito prevalse la seconda funzione.

I laudatori sono i consiglieri e collaboratori del marigo e sono solitamente due o quattro unità. Hanno compiti diversi e possono anche sostituire il marigo in sua assenza. Dal XV secolo l’organo composto da laudatori e marigo per pronunciare i laudi (parola utilizzata in questo caso nel significato di sentenza) prende il nome di banca e i suoi componenti quello di bancali.

I saltari sono le guardie campestri della Regola, possono essere di bosco, di monte o di piano. Hanno un numero variabile a seconda dei territori amministrati. Solitamente stanno in carica un anno, ma per lavori particolarmente onerosi e lontani la turnazione può essere settimanale o mensile.

I visendieri sono tutti coloro che possiedono un ufficio all’interno della Regola e vengono retribuiti per questo, i pastori per esempio sono visendieri. Anch’essi stanno in carica un anno e nelle usanze più antiche è presente la pratica della nomina de rodulo e cioè a turno tra le famiglie.



La fabula è l’assemblea dei regolieri che si riunisce minimo 3 volte l’anno, ma che può essere riunita su richiesta di qualsiasi capofamiglia. L’assemblea è composta proprio dai capifamiglia o rappresentanti dei fuochi-famiglia, sempre uomini tranne nel caso delle vedove con figli minorenni.

Questa forma di governo dei territori viene abolita durante la dominazione francese di Napoleone Bonaparte che voleva riordinare amministrativamente i suoi regni. I possedimenti delle Regole vennero distribuiti tra il Comune originale e le Frazioni (gli odierni paesi).

La decisione venne mantenuta anche dalla successiva amministrazione Austro-Ungarica e fino al 1829  non ci furono grandi proteste. In quell’ anno tre rappresentanti di ciascun comune del Distretto di Auronzo presentarono ricorso all’Imperatore affermando che i boschi del Cadore erano di proprietà dei cadorini (non di principi o comuni) ed erano tutelati dal Consiglio generale della Patria. Chiedevano quindi un’autonomia simile alle famiglie del Comune di Ampezzo Tirolese che si potevano dividere i proventi della vendita del taglio dei boschi, tolte le spese comunali. Ciò non fu possibile e nemmeno con l’ingresso nel neo-costituito Regno d’Italia la situazione cambiò sostanzialmente. Addirittura nel 1927 il Fascismo abolì i bilanci frazionali, retaggio delle antiche Regole, accentrando il potere allo Stato per mezzo dei Comuni. 

Solo nel 1948 e dopo una lunga battaglia legale la Magnifica Comunità di Cadore e le Regole hanno potuto ricostituirsi, ma l’opera del tempo le ha allontanate dal linguaggio dei laudi e delle antiche comunità regoliere. Nondimeno, dopo qualche aggiustamento le Regole sono state ricostituite in forma privata con valenza pubblica e i beni sono tornati di loro proprietà.

La storia delle Regole non è quindi conclusa, ma ancora tutta da scrivere. Recentemente accanto ai principi agro-silvo-pastorali, anche quelli turistici stanno entrando nell’immaginario regoliero e la modernità prende il sopravvento su alcune sorpassate consuetudini permettendo anche alle donne la partecipazione, indipendentemente dal loro status matrimoniale. Purtroppo, questo non succede ancora in tutte le Regole.

Ad ogni modo speriamo che questa “infarinatura” sulle Regole del Cadore sia stata utile e interessante. Se volete approfondire i temi trattati vi consigliamo alcune risorse online:

Se volete leggere un moderno statuto regoliero trovate qui quello della Regola di Padola:

https://www.regoladipadola.it/statuto/


Inoltre in collaborazione con il Museo della Cultura Alpina e Ladina del Comelico vi consigliamo una video intervista al Caporegola della Regola di Padola, in ladino con sottotitoli in italiano per toccare con mano la realtà odierna di questi antichi istituti:

https://youtu.be/FmyxII2KZzE


Inoltre, vi consigliamo questo libro

Giandomenico Zanderigo Rosolo, I laudi delle Regole di Candide, Lorenzago e San Vito in Cadore, Belluno, 2013, Istituto Bellunese di Ricerche Sociali e Culturali.


[Pinter]

Commenti

Post popolari in questo blog

Post 38 – Il Sas del Diàol, a Facen

  Oggi vi parliamo di un misterioso masso inciso!  Si chiama “ Sas di Pirulava ” o più notoriamente “ Sas del Diaol ”, ed è stato scoperto da Candido Greco nel 1977, studioso che ci ha fornito la prima descrizione delle incisioni presenti. Il masso è di dimensioni di circa 90 x 110 cm ed è leggibile solo nella faccia orientata verso sud-est. Presenta una decina di segni a forma di croce, di cui tre che poggiano su dei cerchi contenenti altre croci di dimensioni minori e quella che sembra una lettera “A”. Greco interpreta le iscrizioni come simboli preromani, individuando dei numeri etruschi dei quali i Reti si sarebbero serviti per misurare le libbre di fieno tagliato in loco. Inoltre altri simboli parrebbero legati al culto di Mitra.  Nelle note del testo, inoltre, vengono presentati a titolo esemplificativo e comparativo ulteriori massi che riportano croci incise, ma dotati anche di coppelle. Un appunto: nel testo si fa riferimento a questo masso come quello che secondo la leggenda s

Post 147 - La chiesa della discordia

  In alcuni post precedenti ( post 123 e 124 ) abbiamo ricostruito la storia delle frane dell’Antelao che hanno coinvolto Borca e San Vito. Durante la frana del 7 luglio 1737, stando alle memorie del pievano Bartolomeo Zambelli, il primo edificio a restar sotterrato fu la chiesa di San Canciano che sorgeva sul confine tra Borca e San Vito, chiesa che fu in seguito ricostruita accanto all’antica Strada regia ( post 101 e 102 ), nel territorio di San Vito, ad una novantina di metri dal confine. Ne nacque molto tempo dopo una contesa, di cui vi parleremo oggi. La storia della chiesa di San Canciano è assai antica. Vi è infatti un atto notarile datato 1418 rogato dal notaio Bartolomeo fu ser Ungaro in cui il testatore lega due prati in val di Tiera al lume di San Canciano: in altre parole si lasciava per testamento due prati alla suddetta chiesa perché col ricavato si mantenesse un lume acceso per il santo [1]. Dai documenti delle visite pastorali del 1604 conservati nell’Archivio della Cu

Post 104 – Il colle delle ville. Prima parte.

  La nostra provincia è principalmente nota (se davvero è nota per qualcosa) per le sue splendide catene montuose. Meno noti potrebbero essere invece gli intriganti paesaggi rurali della Valbelluna, valle collocata tra le Prealpi e le Dolomiti e percorsa in quasi tutta la sua lunghezza dal fiume Piave, alimentato da numerosi affluenti che scendono dai monti circostanti. Al di là di centri come Feltre, Sedico, Trichiana o Belluno stessa, caratterizzati dai tipici processi di urbanizzazione degli ultimi decenni, questa porzione di territorio è punteggiata da centri minori, fattorie, case rurali e ville venete.  Nella zona circoscritta che prendiamo in considerazione in questo post, un colle collocato a nord-est di Feltre, i segni di un passato rurale sono tuttora ben visibili nella campagna delle frazioni Vellai e Cart e delle località loro circostanti. Uno degli elementi più suggestivi di questo paesaggio, facilmente idealizzabile nel ricordo dei “bei tempi andati” (e forse mai esistiti