Passa ai contenuti principali

Post 136 - I soprannomi di famiglia

 

In ogni comunità umana è sempre stata avvertita l’esigenza di distinguere gli individui gli uni dagli altri. In gruppi ristretti, come può anche essere una compagnia di amici, è spesso sufficiente un nome per identificare una persona, ma ciò diventa sempre più difficile, se non impossibile, man mano che il gruppo si allarga e diventa più strutturato. Da una parte, il numero di soggetti supera quello dei nomi disponibili, dando vita a casi di omonimia; dall’altra, è impensabile che ognuno conosca bene ciascuno degli appartenenti al gruppo, tanto da poterlo identificare solo grazie al nome.

Per risolvere questi problemi, a quello che ormai possiamo definire “pre-nome” si affiancano ulteriori elementi identificativi, che possono derivare dai genitori della persona, da una caratteristica fisica, dalla professione, dal luogo di provenienza, da un nomignolo. In tal modo si sciolgono i casi di omonimia, e si forniscono a chiunque, anche a chi non conosca bene il soggetto, informazioni utili per individuarlo. 

Quando la persona in questione è in grado di rappresentare a sua volta un gruppo di persone a lui strettamente collegate (tipicamente la famiglia), questi elementi si trasmettono anche ai suoi appartenenti, venendo poi tramandati di generazione in generazione. Il soprannome di un individuo diviene quello che siamo abituati a chiamare cognome.



Questo processo può essere più o meno rigido, più o meno istituzionalizzato. Per lungo tempo nelle nostre valli si è svolto in modo completamente spontaneo, con quasi inesistenti controlli esterni. All’interno di una famiglia già dotata di cognome poteva emergere un personaggio di particolare spicco, oppure il gruppo si poteva trasferire in un’altra località o poteva cambiare mestiere: se questi elementi erano in grado di distinguere meglio la famiglia rispetto al vecchio cognome, in modo del tutto naturale esso veniva soppiantato da uno nuovo. Facciamo un esempio documentato: nel XVI secolo alcuni esponenti delle famiglie Della Pellegrina di Gosaldo si trasferiscono nella località di Rozze, e i loro discendenti verranno identificati solo come “Da Rozze”, perdendo il precedente cognome. A loro volta i Della Pellegrina derivavano da una donna di nome Pellegrina vissuta nel XV secolo, già appartenente alla famiglia Sopran.

Questo continuo processo di spontanea creazione ed estinzione dei cognomi subisce però un brusco arresto in un momento ben preciso della storia, cioè con l’istituzione dei registri parrocchiali dei battesimi, delle nozze (1563) e dei decessi (1613) in seguito al Concilio di Trento. Da questo momento in poi il cognome delle persone sarà fondato non sull’uso spontaneo della comunità, ma su quanto riportato nei registri anagrafici; i figli erediteranno i cognomi dei padri risultanti dagli atti di nascita, matrimonio e morte, anche se nella realtà sociale dovessero essere identificati in altro modo. Nonostante ciò, naturalmente, le persone continuano a cambiare lavoro e residenza, a ricevere nomignoli, le famiglie ad essere identificate in base a personaggi particolarmente riconoscibili. Ciò non può più influire sui cognomi, ormai cristallizzati nell’ufficialità burocratica: si affiancano pertanto ad essi i soprannomi di famiglia o “agnomi”, che diventano lo strumento mutevole, legato all’oralità ed informale, che permette di identificare immediatamente un certo nucleo familiare.



Può sorprendere, ma questi due binari paralleli giungono talvolta, nei secoli successivi, ad incrociarsi: i soprannomi di famiglia si rivelano fondamentali per risolvere situazioni di omonimia, frequenti in comunità piccole come le nostre. Talvolta essi entrano nei registri anagrafici solo per aiutare l’identificazione dei soggetti, senza essere davvero equiparati ai cognomi. In altri casi si giunge a porli sullo stesso livello, anche negli atti ufficiali, facendo divenire il soprannome di famiglia doppio cognome: è quello che succede in molte famiglie di Zoldo (ad esempio i Pra Baldi, Pra Sisto, Pra Mio…), Comelico (ad esempio gli Zanderigo Maccarino, Zanderigo Rosolo, Zanderigo Iona…) e Cadore (ad esempio i Larese De Pasqua, Larese Filon, Larese De Bona…). Nei casi più estremi, il precedente cognome viene completamente abbandonato, anche negli atti ufficiali, e sostituito dagli agnomi, come succede ad esempio coi Foppa di Zoldo, che divengono D’Isep, Tacco, Vattà…



I soprannomi di famiglia come anche i cognomi prima di essere istituzionalizzati , ancora più sorprendentemente, sono uno strumento che garantisce, per certi aspetti, una parità tra coniugi incredibilmente moderna. Mentre infatti a livello ufficiale è di regola il marito a trasmettere il cognome alla prole, nel caso degli agnomi succede spesso che i figli derivino il proprio soprannome dalla madre. Questo può capitare per le ragioni più varie, ad esempio per la morte precoce del marito, o perché la famiglia si stabilisce nella casa materna, o semplicemente perché la madre è dotata di un carattere più forte o è più nota in società. Può così capitare che i figli acquisiscano un nuovo agnome basato sul nome o soprannome personale della madre, come ad esempio gli ampezzani Colli “D’Antogna”, i cadorini Olivotto “Svalda”, gli alpagotti Fagherazzi “de la Bela”. Ancora, possono ereditare direttamente l’agnome della madre, come accaduto coi Bianchi “Fuzigora” di Cibiana, il cui soprannome deriva per via materna da un ramo degli ampezzani Ghedina. Infine lo stesso cognome della madre può diventare soprannome dei discendenti, come verificatosi per gli agordini Conedera “Carele”, il cui agnome risale probabilmente per via materna all’oggi estinto cognome Carelle.

Quella dei soprannomi di famiglia è un’usanza diffusa non solo in Provincia di Belluno, ma in moltissimi parti del mondo e d’Italia, dove è attestata dalla Sicilia alla Lombardia, dalla Calabria all’Alto Adige, dalla Puglia al Friuli. A seconda della località, la tradizione gode di maggiore o minore vitalità: mentre in Valbelluna essa pare quasi completamente dimenticata, nelle zone appena limitrofe, come Alpago e Lamon, è ancora ben nota e praticata. Anche nella parte alta della Provincia i soprannomi delle varie famiglie sono in generale noti ed utilizzati, ma la zona dove forse essi sono più radicati è quella di Ampezzo, dove le persone sono spesso identificate esclusivamente attraverso il soragnon de ciaśa, tralasciando del tutto il cognome.


[pgbandion]


Bibliografia

  • E. Majoni “Coléto”, De ci sošto pizo. Genesi, storia e significato di oltre 400 soprannomi di famiglie ampezzane, Cortina d’Ampezzo, 2004;
  • T. De Nardin/G. Tomasi, Cognomi agordini, Belluno, Nuovi Sentieri Editore, 2002;
  • G. Da Re, Storia pagòta. I registri parrocchiali dal 1556 al 1918 e altre notizie, Rasai di Seren del Grappa, Gruppo DBS - SMAA srl, 2019.



Sitografia


Commenti

Post popolari in questo blog

Post 38 – Il Sas del Diàol, a Facen

  Oggi vi parliamo di un misterioso masso inciso!  Si chiama “ Sas di Pirulava ” o più notoriamente “ Sas del Diaol ”, ed è stato scoperto da Candido Greco nel 1977, studioso che ci ha fornito la prima descrizione delle incisioni presenti. Il masso è di dimensioni di circa 90 x 110 cm ed è leggibile solo nella faccia orientata verso sud-est. Presenta una decina di segni a forma di croce, di cui tre che poggiano su dei cerchi contenenti altre croci di dimensioni minori e quella che sembra una lettera “A”. Greco interpreta le iscrizioni come simboli preromani, individuando dei numeri etruschi dei quali i Reti si sarebbero serviti per misurare le libbre di fieno tagliato in loco. Inoltre altri simboli parrebbero legati al culto di Mitra.  Nelle note del testo, inoltre, vengono presentati a titolo esemplificativo e comparativo ulteriori massi che riportano croci incise, ma dotati anche di coppelle. Un appunto: nel testo si fa riferimento a questo masso come quello che secondo la leggenda s

Post 147 - La chiesa della discordia

  In alcuni post precedenti ( post 123 e 124 ) abbiamo ricostruito la storia delle frane dell’Antelao che hanno coinvolto Borca e San Vito. Durante la frana del 7 luglio 1737, stando alle memorie del pievano Bartolomeo Zambelli, il primo edificio a restar sotterrato fu la chiesa di San Canciano che sorgeva sul confine tra Borca e San Vito, chiesa che fu in seguito ricostruita accanto all’antica Strada regia ( post 101 e 102 ), nel territorio di San Vito, ad una novantina di metri dal confine. Ne nacque molto tempo dopo una contesa, di cui vi parleremo oggi. La storia della chiesa di San Canciano è assai antica. Vi è infatti un atto notarile datato 1418 rogato dal notaio Bartolomeo fu ser Ungaro in cui il testatore lega due prati in val di Tiera al lume di San Canciano: in altre parole si lasciava per testamento due prati alla suddetta chiesa perché col ricavato si mantenesse un lume acceso per il santo [1]. Dai documenti delle visite pastorali del 1604 conservati nell’Archivio della Cu

Post 104 – Il colle delle ville. Prima parte.

  La nostra provincia è principalmente nota (se davvero è nota per qualcosa) per le sue splendide catene montuose. Meno noti potrebbero essere invece gli intriganti paesaggi rurali della Valbelluna, valle collocata tra le Prealpi e le Dolomiti e percorsa in quasi tutta la sua lunghezza dal fiume Piave, alimentato da numerosi affluenti che scendono dai monti circostanti. Al di là di centri come Feltre, Sedico, Trichiana o Belluno stessa, caratterizzati dai tipici processi di urbanizzazione degli ultimi decenni, questa porzione di territorio è punteggiata da centri minori, fattorie, case rurali e ville venete.  Nella zona circoscritta che prendiamo in considerazione in questo post, un colle collocato a nord-est di Feltre, i segni di un passato rurale sono tuttora ben visibili nella campagna delle frazioni Vellai e Cart e delle località loro circostanti. Uno degli elementi più suggestivi di questo paesaggio, facilmente idealizzabile nel ricordo dei “bei tempi andati” (e forse mai esistiti