Vi ricordate che tempo fa vi avevamo raccontato dei moltrìn in Val Salatis? E di come su alcuni di questi ci fossero delle incisioni?
L’arte dello scalpellino è una nota tradizione artigianale della zona che ha reso famosi gli alpagotti, Umberto Trame nel suo La Conca dell’Alpago nelle Dolomiti Orientali (1932) così racconta gli abitanti della conca:
Ottimi muratori, tagliapietre, scalpellini, minatori diventano gli alpagotti che emigrano in cerca di lavoro. Infaticabili e tenaci si impadroniscono ben presto del loro mestiere ed acquistano tale abilità che sono ricercati e preferiti anche all’estero [...].
Degno di rilievo il bel monumento ai Caduti di Chies, uno dei più ammirati della provincia, disegno ed opera di uno scalpellino di Schiucaz. (p.257)
Lo specializzarsi degli abitanti dell’Alpago nell’arte degli scalpellini è probabilmente favorito dalla natura dei sedimenti rocciosi di carbonato di calcio da cui si estraeva una pietra di facile lavorabilità. Proprio nella parte bassa della Val Salatis in località Busa del Santo in Val Marera troviamo l’omonima Cava Marera, tuttora in funzione, dalla quale si ricavano rocce appartenenti alla Formazione del Calcare del Monte Cavallo.
In passato il materiale veniva utilizzato soprattutto nell’edilizia per gli aspetti strutturali di sostegno. L’abilità e la fantasia degli scalpellini lo rendeva poi un mezzo per abbellire gli abitati internamente o esternamente, senza però richiedere un’ingente spesa economica.
In seguito ad un presunto sarcofago ritrovato in Val Marera è stato anche ipotizzato che in età romana la pietra venisse adoperata per ‘opere’ funerarie.
Alcuni dei pastori che alpeggiavano in Val Salatis erano anche degli abili scalpellini: sulle diverse strutture dei siti dei moltrìn si possono trovare incisioni di vario tipo risalenti a diversi periodi storici. Questo li rende una testimonianza chiave per ricostruire la storia della pastorizia nella zona.
Nel sito dell’Astór A, ad esempio, si trova un’incisione che potrebbe indicare l’anno di costruzione o restauro della struttura 1764, mentre nello stallone del pascolo di Campitello troviamo la data 1929.
Le incisioni più diffuse sono però quelle recanti le iniziali dei pastori scalpellini seguiti dalla data di realizzazione e in alcuni casi con l’aggiunta di dettagli ornamentali.
Nel moltrìn di Campitello le incisioni risalgono alla fine degli anni ‘20 mentre nel moltrìn dell’Astór B troviamo le più recenti risalenti agli anni ‘30 e ‘40.
Queste ultime incisioni dimostrano una qualità tecnica superiore alle precedenti per cui si può ritenere che nella loro realizzazione siano stati utilizzati strumenti adatti alla realizzazione di incisioni su pietra. Vale a dire uno stanp (sagoma o disegno da cui ricalcare la figura) un mazòt (mazzuolo, piccola mazza di legno), una pónta (punta) e uno scarpèl (scalpello).
Fagherazzi Giovanni Dìlio e suo fratello Fagherazzi Vittorio Dìlio sono due ragazzi di Irrighe (Chies d’Alpago) che in estate trascorrono, secondo la testimonianza di una delle figlie di Giovanni, quindici giorni in Val Salatis per l’alpeggio.
A loro appartengono due delle incisioni ritrovare sulle pietre del moltrìn Astór B dove hanno lasciato impresse le loro iniziali e la data di realizzazione F.G.D. 1937 e F.V.D. 1938
[Faghe]
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