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Post 128 - Ruotismo per Ciclismo

 


11 novembre 1927, Padova. È una giornata fredda e piovosa. Il gruppo di ciclisti radunati in città per l’occasione del Gran Premio della Vittoria scalpita per la partenza. Ci sono diversi campioni del tempo come Antonio Negrini, e tra loro è presente un giovane vicentino, il ventisettenne Gentullio Campagnolo, detto “Tullio”.


Foto di un giovanissimo Tullio Campagnolo

Tullio Campagnolo, al tempo giovane artigiano che lavorava nella ferramenta del padre, da tempo nutriva una grande passione per il ciclismo. Tullio decise di partecipare alla competizione come atleta indipendente. Questo vuol dire, tra le altre cose, che in caso di incidente avrebbe dovuto arrangiarsi a trovare un modo per tornare a casa. Così Giovanni Brera racconta di quanto portava con sé durante questa impresa: ben tre camere d’aria, (una assicurata al manubrio, una nella sella e la terza alle spalle), e, oltre al materiale per ovviare al problema forature, anche del pane, del salame, del formaggio, una bottiglia d’acqua e due borracce tenute sul manubrio. Bisognava riportare a casa la pellaccia ad ogni costo, il tutto con una pesantissima bici in acciaio.

Il percorso di gara, che oggi non avremmo dubbi a definire gravel, si snodava lungo le strade sterrate dell’Italia del primo dopoguerra. Le strade asfaltate negli anni ’20 sono ancora poche: questo fattore, unito alla pioggia, non può che incrementare lo sforzo fisico richiesto ai partecipanti. Dopo la partenza da Padova il gruppo di ciclisti si dirige verso Bassano del Grappa, per poi salire lungo il Canale del Brenta. Arrivati a Primolano la pioggia smette, i ciclisti possono godersi i pochi raggi che filtrano, utili per poi affrontare la breve salita delle Scale di Primolano. Negrini qui si attacca, e in testa rimangono in sei al comando di gara.


Tratto Feltrino del Gran Premio della Vittoria

Il gruppo, con Antonio Negrini in testa, andrà verso Fonzaso per inforcare la strettoia del Pedesalto, passando vicino ai resti della Tagliata di Sant'Antonio (vedi post qui). A Ponte Serra in testa sono in otto e il cielo si fa nero di nubi. A Ponte Oltra un curva secca, e poi si sale verso Sorriva. Lungo il falsopiano successivo Campagnolo segue il manipolo di testa di otto corridori. Da lì si affronterà la salita principale della corsa: la salita al Passo Croce d’Aune, di 11 km, con pendenze negli ultimi 6 km intorno all’10%. Poco dopo inizia la vera salita. Il meteo diventa un nemico, il vento aumenta e la neve inizia a scendere copiosa.


Croce d'Aune innevata.

Alle prime salite per il passo Tullio deve girare la ruota posteriore: serve un rapporto più agile. Le biciclette del tempo non avevano la possibilità di cambiare rapporto: durante questa gara fu concesso l’uso delle innovative ruote “flip flop” o anche dette “a scatto fisso”, cioè dotate di due pignoni ai lati della ruota posteriore. Per cambiare pignone bisognava smontare dal mezzo, svitare dei bulloni (galletti) e girare fisicamente di 180 gradi la ruota posteriore per poi ribullonare e ripartire. Cambiare il rapporto non era per nulla facile e veloce, e le condizioni meteo hanno aggravato la difficoltà. 


Tullio in bicicletta

Tullio con le dita intirizzite dal freddo non riusciva a svitare i bulloni d’acciaio, che a causa del freddo si erano saldati ancora più tenacemente. Tentò testardamente in tutti i modi ma niente da fare. Scagliò delle imprecazioni per sfogare la frustrazione - che noi non riporteremo -. Mentre i Negrini e altri corridori ripartirono, Tullio, in crisi per la fatica, il bagnato, il freddo, la tormenta di neve e il vento gelido, prese la decisione di ripartire senza invertire la ruota. Qualcosa gli balenò in testa, forse, in quel momento: «Qua bisogna cambiare qualcosa di dietro!», frase (riportata dalle fonti dell’epoca che raccontano la storia) che più volte risuonerà come un’eco per tutto il percorso. 


Mozzo a scatto fisso detto anche "flip flop"

La salita sì fa durissima, la pendenza, il fango e la neve non rendono la salita facile. Possiamo immaginare come le ruote occasionalmente perdessero presa e la pedalata andasse a vuoto e quante cadute rischiate, le maledizioni dettate dalla fatica, la tentazione di invertire marcia e saltare il passo.

I ciclisti pedalano, e Negrini ancora domina la competizione. Seguendo le scie lasciate nella neve, una neve compatta e traditrice che non dà tregua, i ciclisti ad un certo punto sono costretti tutti a scendere e a spingere la bici nella neve. Solo l’olimpionico Antonio Negrini riesce ad arrivare, completamente sfinito, in sella e scollina il Passo Croce d’Aune alle ore 13:00. A ruota lo segue Campagnolo. 


Antonio Negrini intento nel cambio di pignone durante il Gran Premio della Vittoria, Croce d'Aune 1925.

La discesa, date le condizioni proibitive delle strade, è impegnativa. Campagnolo è ghiacciato, e il tratto richiede circospezione. Tullio fora e il pensiero si incancrenisce. Rimugina forse: «Qua bisogna cambiare qualcosa di dietro!».


Mozzi anteriore e posteriore con il sistema a sgancio rapido Campagnolo, catalogo storico.

Arrivati a Pedavena la parte difficile è superata, la gara volge al rientro a Padova, concludendosi al Velodromo di via Carducci. Tullio arrivò quarto, ma vinse qualcosa di più: un’intuizione. Iniziò subito a lavorare ad un progetto che risolvesse il problema dello sgancio della ruota. Così nacque il mozzo a sgancio rapido, il “ruotismo per ciclismo”, secondo lo stravagante nome che Campagnolo gli assegnò. Il brevetto venne depositato nel 1930, primo dei 185 che depositerà nel corso della sua vita. Ancor’oggi viene utilizzato nelle biciclette che noi tutti adoperiamo.


[MattIki]

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