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Post 127 - Francesco Terilli, Feltrensis

 


Dello scultore Francesco Terilli «si potrebbe persino dubitare che fosse di origine feltrina, s’egli, nelle opere sue migliori, non avesse sempre collocato accanto al proprio nome l’appellativo di Feltrensis» scrive Giuseppe Biasuz, uno dei maggiori studiosi di Terilli, le cui ricerche insieme a quelle di Sergio Claut hanno permesso di riscoprire la figura dell’artista. 


Crocifisso, legno, Feltre, Museo Dicosano di Arte Sacra

Terilli nasce intorno al 1550, da quanto si legge nell’atto di morte del 23 settembre 1630 che recita «ser. Fran.co Terilli de anni 80 incirca». Lo scultore si dichiara orgogliosamente feltrino nel toponimico sia nella forma estesa sia nell’uso di forme contratte o, più semplicemente, nelle sigle F.T.F. (Francesco Terilli Feltrensis) e F.F.F. (Francesco Feltrensis Fecit) ritrovate in diverse opere. 


Addolorata, avorio, Vienna Kunsthistorisches Museum. Biasuz 1988
San Giovanni, avorio, Vienna, Kunsthistorisches Museum. Biasuz 1988


Tra i lavori firmati si annovera la coppia di sculture in legno conservate ai lati dell’altare maggiore nella cattedrale di San Pietro Apostolo a Feltre: San Pietro e San Prosdocimo. Le opere vengono realizzate tra il 1610 e il 1619 su commissione del vescovo Agostino Gradenigo. Il San Pietro è stato spesso ritenuto un unicum nel catalogo dello scultore per le sue forme dilatate, con i panneggi scomposti e voluminosi. L’impianto ieratico e austero del San Prosdocimo, invece, trova diversi riscontri con altre opere terilliane. L’indubbia paternità del San Prosdocimo permette inoltre di includere nel catalogo dell’artista la scultura di San Liberale nella chiesa veneziana di Santa Maria del Carmelo con cui presenta evidente affinità che non lascia dubbi sull’identità di mano. La Cattedrale di Feltre custodisce una terza opera di Terilli, l’unica del gruppo a non presentare la firma e a non essere citata negli atti delle visite pastorali del Gradenigo: la scultura lignea del Redentore, il cui riconoscimento unanime della paternità terilliana è dedotto per consonanza stilistica con esemplari autografi.


San Prosdocimo, legno, Feltre, Cattedrale di San Pietro Apostolo.

Per lungo tempo si è pensato che l’inizio della carriera artistica dello scultore fosse da rintracciare nella lavorazione in avorio, complice il fatto che fino alla fine del secolo scorso la più antica opera pervenuta fosse il Cristo Redentore firmato e datato 1596 del Museo di Arte Antica di Lisbona. Nell’opera si dichiarano già le caratteristiche tipiche del linguaggio di Terilli: la descrizione minuziosa dei dettagli pur nell’essenziale compostezza della figura rendono il Cristo portoghese un’opera che ben dichiara il lessico figurativo di Terilli, seppur espresso in un linguaggio ancora acerbo.


Redentore, legno, Feltre, Cattedrale di San Pietro Apostolo.


Dalle assidue ricognizioni di Biasuz e Claut deriva una serie di indagini archivistiche che a partire dagli anni Novanta del Novecento contribuiscono in maniera significativa ad ampliare il catalogo e a chiarire la vicenda terilliana.

La più antica fonte a lui relativa è la memoria parrocchiale scritta da Domenico Tarilli, sacerdote di Comano, nei pressi di Lugano, che nel 1575 registra l’arrivo dei fratelli Giuseppe e Francesco Tarilli «figlioli di Martino Tarilli nostro da Cureia […] maridato in Feltro». La cronaca del parroco prosegue nella presentazione dei visitatori: Francesco è descritto ancora celibe, magistro de legname, residente a Venezia e tutto rossetto d’aspetto: queste informazioni sono essenziali per contestualizzare l’artista, soprattutto l’ultima perché permette di ricondurre alla mano di Terilli un gruppo di opere per le quali sono stati rintracciati documenti di pagamento a favore di mastro Rossetto a Rovigo, Udine e Treviso. 

Da uno spoglio archivistico riguardante gli atti di battesimo dei figli dell’artista con Madonna Laura, con cui è sposato almeno dal 1586, si evince un profondo radicamento dell’artista nel contesto culturale della città di Venezia: dai documenti emerge che il novero dei padrini di battesimo comprende le figure di spicco del panorama artistico lagunare tra cui l’architetto Francesco Scamozzi, i pittori Francesco Montemazzano e Sante Peranda e lo scultore Alessandro Vittoria.

A oggi la più antica opera conosciuta dello scultore è un Angelo in legno per la chiesa di Maron di Brugnera (Pordenone) perduto in circostanze ancora ignote. Pertanto la prima scultura documentata e giunta fino a noi è il Crocifisso ligneo nella chiesa di San Mansueto a Mansuè, nel trevigiano, acquistato all’artista nel 1591: la puntuale collocazione cronologica rende l’opera un caposaldo per inquadrare cronologicamente la produzione dello scultore, in particolare sul soggetto del Crocifisso, suo tema prediletto.

La vasta produzione terilliana di Crocifissi — al momento se ne contano 23 certamente terilliani, circa la metà dell’intero catalogo dell’artista — giustifica gli appellativi con cui spesso è attestato nelle fonti documentarie: «Rossetti dai Christi da Venetia» viene pagato per un gruppo di sculture per la chiesa di San Nicolò a Treviso, oggi disperso, mentre lui stesso si definisce «Francesco Terili scultor da Christi et altro» nel testamento.

Terilli scolpisce Crocifissi nel corso di tutta la sua carriera, in grande o in piccolo formato, in legno o in avorio. Attualmente i suoi Cristi in Croce sono conservati in musei e collezioni private, in Italia e all’estero. Un primo gruppo di Crocifissi in avorio firmati databile tra la fine del XVI e gli inizi del XVII secolo include le opere delle collezioni Rau (Zurigo, Svizzera), Salvi (Parma), poi Padova, Casale sul Sile e Dortmund (Germania) che condividono un tratto anatomico arrotondato e carnoso. Fa eccezione in questo primo gruppo il piccolo Crocifisso esposto nel Museo Civico di Feltre che si presenta più teso e nell’iconografia del Cristo ancora vivente.


Redentore, avorio, Lisbona, Museo Nazionale di Arte Antica

L’applicazione di Terilli alle arti plastiche vede dunque, a fianco dell’intaglio ligneo, una notevole attitudine alla lavorazione dell’avorio attestata a cronologie piuttosto precoci, come conferma l’avorio di Lisbona sopracitato. Gli avori terilliani sono di piccole dimensioni ma di pregevolissima fattura, come ben si evidenzia nelle due coppie pressoché identiche con San Giovanni Evangelista e Madonna Addolorata, l’una conservata nel Kunsthistorisches Museum di Vienna, l’altra recentemente rintracciata sul mercato antiquario francese, entrambe siglate F.T.F. e F.F.F. sotto la base. La coppia di statuette con i Santi Pietro e Paolo nella galleria antiquaria Altomani & Sons di Milano, anch’essa siglata, emana un senso di misurata fierezza nella resa dello sguardo delle figure. La particolare abilità di Terilli nell’intaglio eburneo si rivela nella capacità di imprimere ai personaggi note di umana vitalità nella resa minuziosa dei dettagli anatomici. 

Nel 1606 lo scultore figura tra Maestri intagliatori impegnati nel cantiere dell’arsenale per la decorazione del bucintoro seicentesco, mentre l’anno successivo una deliberazione del Senato veneziano gli concede un vitalizio per il brevetto di bocche da fuoco e di congegni per la mobilità delle galee. L’acquisizione della notizia rivela l’impegno ingegneristico dell’artista e rende merito della considerazione di cui Terilli gode in Laguna, a giudicare anche dalle prestigiose commissioni degli anni successivi. 

A queste date si collocano due Crocifissi lignei importanti: le opere nelle chiese del Cristo di Udine e di Santa Lucia a Treviso si pongono come premesse per le prove della piena e tarda maturità. L’artista elabora in queste sculture un canone formale che riproporrà nel resto di tutta la sua produzione di Cristi in croce, adottando di volta in volta sottili varianti quasi impercettibili e che diviene la linea di confine per avvicinare o respingere la paternità di Terilli. Rientrano in questo gruppo di opere i grandi Crocifissi in legno della basilica del Redentore a Venezia, della chiesa di San Vito a Treviso e del Duomo di Este. Denota stringente affinità con questo gruppo il piccolo Crocifisso in avorio conservato all’Isabella Stewart Gardner Museum di Boston, siglato sul retro.

Il modello di Crocifisso codificato da Terilli propone una personale rielaborazione delle fonti figurative tardo rinascimentali. Le agili e silenti figure plasmate dal feltrino emanano un’imperturbabile immobilità descritta in una compostezza che frena e trattiene ogni eccesso espressionistico, con i tratti del volto di Cristo composti pur nella rigidezza della morte. Una tale imperturbabile immobilità non sottrae autenticità alla sofferenza del Cristo: al contrario, ne amplifica la solennità.


Crocifisso, avorio, Feltre, Musei Civici.


Nel catalogo terilliano si conta al momento una sola opera in bronzo: si tratta della coppia con il San Giovanni Battista firmato FRANCISVS TERILLI FELTRENSIS F. e datato 1610 in pendant con il Redentore, anch’esso firmato, per la basilica veneziana del Redentore. Le sculture nello speculare gioco di rimandi negli atteggiamenti trasmettono una sensazione di delicata precarietà, un «senso di misura rinascimentale, sansovinesco» ravvisato dallo storico dell’arte Adolfo Venturi che fa posto a Terilli nella Storia dell’Arte Italiana del 1937. L’indubbia paternità dei bronzetti ha permesso di riconoscere la mano di Terilli nell’analogo gruppo di Battesimo, questa volta in legno, nella chiesa veneziana di Sant’Alvise e nel San Giovanni Battista in collezione privata a Cittadella, purtroppo molto lacunoso, ma in cui è possibile rintracciare l’alta perizia dello stile terilliano.

L’impresa più impegnativa di Terilli è il cantiere della chiesa dei Santi Giacomo e Cristoforo di Robegano per il quale l’artista scolpisce tra il 1610 e il 1616 circa una ventina di sculture, purtroppo in gran parte perdute; sono ancora apprezzabili la coppia dei santi titolari insieme al Crocifisso attualmente sull’altare maggiore.

In seguito lo scultore riceve dal Senato Veneziano la prestigiosa commissione della statua equestre di Pompeo Giustiniani nella basilica dei Santi Pietro e Paolo, firmata FRANCISCVS TERILLI FELTRENSIS F. e datata 1616. Lo stesso anno è inciso accanto alla firma anche sugli Angeli adoranti specularmente genuflessi nella chiesa di San Biagio di Dignano d’Istria, giunti in Croazia a seguito alle dispersioni demaniali veneziane ottocentesche. Lo stile di queste sculture avvicina gli Angeli di Dignano agli Angeli cerofori pagati a Terilli due anni più tardi dalla fabbriceria di San Marco a Venezia, di cui purtroppo rimane solo la riproduzione incisa sul frontespizio del Trattato delle Santissime Reliquie del patriarca Giovanni Tiepolo.


Monumento equestre della tomba di Pompeo Giustiniano

Nel 1621 Terilli riceve un pagamento dalla chiesa di Santa Maria Assunta di Lentiai per un grande Crocifisso ligneo che segna una tappa cruciale nella produzione del feltrino. In quest’opera lo scultore declina la salda definizione anatomica degli esemplari tardo-cinquecenteschi in essenzialità, seguendo una linea di condotta che porta le sculture verso un profilo sempre più sintetico e slanciato, con tratti fisionomici longilinei e affilati. Pur cedendo verso una corporatura maggiormente risentita, la figura conserva la tipica compostezza della produzione terilliana, comunicando forte drammaticità nell’espressione del volto. 

Il riconoscimento dello stile e la sicura cronologia della scultura di Lentiai hanno permesso di ampliare e strutturare notevolmente il corpus terilliano avvalorando l’autografia dei Crocifissi per la chiesa veneziana di San Michele in Isola e del Museo Diocesano di Arte Sacra di Feltre, un tempo nella chiesa dei Santi Rocco e Sebastiano, come anche l’esemplare nella chiesa della Natività a Fonzaso, datati al volgere del secondo decennio. Il Cristo in Croce nell’oratorio di San Valentino a Este si colloca nel tratto più avanzato del percorso artistico del Rossetto. Le recenti acquisizioni al catalogo di Terilli del Crocifisso processionale nella chiesa di San Silvestro a Venezia, in legno, e dell’esemplare eburneo su un altarino mobile a palazzo Zuckermann, nei Musei Civici di Padova, propongono una datazione tra il secondo e il terzo decennio del XVII secolo, appartenenti all’ultima attività dell’artista. 


Crocifisso, legno, Lentiai.


Il 22 settembre 1630 Terilli detta le ultime volontà: dal testamento si delinea il profilo di una persona generosa e giudiziosa, caritatevole nei confronti dei bisognosi tanto all’interno della propria famiglia quanto al di fuori delle mura domestiche, disponendo parte della propria eredità agli ospedali della città di Venezia. Il giorno successivo, 23 settembre, «ser Fran.co Terilli de anni 80 incirca» muore di febbre che, visto l’anno, deve essere stata probabilmente di tipo pestilenziale. Dello stesso morbo muore una settimana più tardi anche la moglie, chiusa in casa per impedire l’ulteriore diffondersi della malattia.

La produzione di Terilli, composta quasi totalmente da opere di soggetto religioso con la sola eccezione della scultura equestre per Giustiniani, mette in evidenza come l’artista tende a replicare nel tempo, indipendentemente dal formato e dal materiale, un medesimo soggetto mettendo a punto delle formule stilistiche che si cristallizzano in un repertorio di immagini pressoché identiche, persino nei dettagli più minuti. All’interno di queste formule compositive sono rintracciabili caratteristiche tanto ricorrenti da divenire talvolta un’importante linea di discrimine per accettare o respingere la paternità terilliana di un’opera.

Non mancano nell’ampio catalogo dello scultore scarti qualitativi, anche tra opere che si avvicinano consistentemente ai modelli codificati dal feltrino e cronologicamente vicine a sculture di certa attribuzione. Nonostante non siano ancora stati rintracciati dati documentari in grado di attestare una cerchia attorno all’attività del Rossetto, è plausibile supporre che tale discontinuità sia dovuta all’intervento di altre mani, oltre a quelle del maestro. Se i lavori più pregiati presuppongono un intervento maggiore dello scultore, alcune sculture dimostrano un’incertezza di costruzione e di fattura ascrivibile a intagliatori che in qualche modo guardano alle opere di Terilli; altre sculture, seppur di buona fattura, si discostano dalle cifre pressoché cristallizzate dei modelli del nostro. 

Nel catalogo di Terilli si presenta al momento un gruppo di opere di incerta attribuzione. Il gruppo composto dalla Madonna della Cintura e dai Santi Monica e Agostino conservati nella chiesa di Sant’Agostino a Treviso riporta un’attribuzione allo scultore Giovanni Battista Florio, attivo a metà del XVII secolo nella basilica di San Giorgio Maggiore a Venezia. Tuttavia, le opere vengono avvicinate alla mano del Rossetto per vicinanza stilistica con sculture di certa attribuzione, evidenti nel Sant'Agostino molto simile al San Prosdocimo della Cattedrale di Feltre, e nella Madonna della Cintura, coerente con le figure di San Giovanni Evangelista appartenenti al corpus terilliano. La Madonna del Rosario con Bambino nella chiesa trevigiana di San Nicolò è da accostare alle Madonne con Bambino di Arten e Portogruaro e alla scultura di San Cristoforo a Robegano in cui, in particolare la fattura anatomica del Bambino, sembra proporre puntuali citazioni. 


S. Agostino

Tra i contributi più significativi al fine di rintracciare l’evoluzione degli studi su Terilli, il catalogo monografico del 1988 curato da Anna Paola Zugni-Tauro mette ordine tra i numerosi affondi critici di Biasuz. Zugni-Tauro evidenzia come nella produzione dell’artista emerga una «fusione di arte nordica e italiana» che rivela l’identità feltrina di nascita, dove «la calma onda lagunare viene a congiungersi con l’aspra forza delle montagne». La «calma onda lagunare» è la produzione di Jacopo Sansovino, che importa la Maniera a Venezia, poi filtrata e rielaborata dall’allievo Alessandro Vittoria, punto di riferimento della scultura nel Veneto del secondo Cinquecento e a cui indubbiamente Terilli è legato almeno nei rapporti umani figurando nel novero dei padrini di battesimo dei figli. Tuttavia si coglie in Terilli una gestualità meno espressiva ed esasperata rispetto alle sculture di Vittoria, un notevole indebolimento della tensione: le sculture terilliane sono più trattenute nel loro dolore. Seppur non possa interamente prescindere dalle lezioni dei grandi scultori del secondo Cinquecento veneziano, il Rossetto si contraddistingue per una personale rilettura che accosta la cultura classica penetrata in Laguna a elementi nordici, rintracciabili nell’origine feltrina. Dall’influsso dell’«aspra forza delle montagne» potrebbe plausibilmente scaturire la perizia da orafo con cui contrassegna i particolari fisionomici più minuti – le vene sotto la pelle, i denti che si intravedono nelle bocche dischiuse, i capelli ordinatamente intagliati e le gocce di sangue che sgorgano dalla ferita nel costato, i dettagli nelle vesti – insieme al patetismo espresso dalle sue figure. Tale prospettiva emerge anche dalla trattazione pubblicata nello stesso anno da Sergio Claut nel contesto della mostra “Francesco Terilli ed altri scultori del legno nel Feltrino tra Rinascimento e Barocco”, in cui analizza più a fondo quello che è il contesto feltrino in cui Terilli affonda le radici. 

Tuttavia negli oltre trent’anni che intercorrono tra la pubblicazione dei due cataloghi e le ultime indagini sono emersi dettagli che approfondiscono ulteriormente la vicenda terilliana. L’intervento di Giuseppe Sava nel 2013 ha il merito di affrontare uno degli aspetti più complessi della produzione terilliana, ovvero la sequenza cronologica dei numerosi esemplari di Crocifissi. Analizzando le soluzioni compositive reiterate nel canone linguistico adottato dal feltrino e assumendo a capisaldi due opere di accertata cronologia — il Cristo nella chiesa di San Mansueto di Mansuè del 1591 e il Cristo della chiesa di Santa Maria Assunta a Lentiai del 1621 — Sava propone un ordine del catalogo analizzando il trattamento delle linee anatomiche in cui modellato il carnoso e rilassato degli esemplari tardo-cinquecenteschi tende ad acquisire nelle opere datate ai primi del Seicento una maggiore tensione e un progressivo assottigliamento della figura, secondo una tendenza che assumerà sempre maggior rilievo nei lavori della produzione più tarda. 

In un ulteriore contributo Sava porta alla luce un inedito registro di spesa che rivela l’impresa più impegnativa di Terilli: il cantiere della chiesa dei Santi Cristoforo e Giacomo Maggiore di Robegano per il quale il feltrino riceve tra il 1610 e il 1616 la commissione di circa una ventina di sculture. All’interno del registro, tuttavia, è da leggere un fatto ancor più determinante che potrebbe fornire la risposta a una delle domande che da sempre ha interrogato la critica terilliana: in quale ambito avviene la formazione di Terilli? Dal registro emerge che nel cantiere di Robegano il feltrino svolge un ruolo di primo piano in qualità di scultore, ma è sempre affiancato da Jacopo e Alessandro Zane; quest’ultimo si rivela in una nota di pagamento «cugnato» di Terilli. Tale precisa circostanza non solo consente di attribuire il cognome Zane a tale Madonna Laura con cui Terilli risulta sposato almeno dal 1586, ma permette di ipotizzare che, a partire dagli stretti vincoli di parentela, Jacopo Zane abbia ricoperto un ruolo essenziale nella formazione o nell’avviamento del giovane Terilli nella scultura nella città lagunare. 

Tra i più recenti interventi di spessore riguardo l’attività di Terilli, Massimo De Grassi rintraccia nuove opere siglate e nuove plausibili aggiunte al catalogo del feltrino; lo studio delinea un’inedita pista d’indagine della produzione terilliana che guarda verso la costa dalmata e croata. 

Tante le nuove scoperte e altrettanti gli interrogativi che aleggiano ancora attorno alla figura dello scultore feltrino Francesco Terilli, tra ipotesi e approfondimenti che attendono ulteriori indagini. 


[@giuliacastelnuovo]

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