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Post 118 - L’assalto italiano alla Marmolada con un pallone aerostatico

 


Correva l’anno 1917 e sul massiccio della Marmolada, di cui si è parlato nel post 87 “La Città di Ghiaccio”, la guerra continuava, con ferocia e senza sosta, a dilaniare l’uomo e la montagna. 



Dal 1916, la cresta della Marmolada fino a Forcella a Vu (o Vesura) era controllata dalle forze austro-ungariche, che avevano creato, a ridosso della Forcella (intorno a quota 3153 m s.l.m.) una vera e propria inespugnabile roccaforte a cui si contrapponevano le antistanti postazioni italiane del Serauta. 


In questo settore, con l’intenzione di scardinare la presenza nemica da quota 3153, gli scontri si susseguirono a caro prezzo e senza i risultati sperati dai comandi italiani, nonostante i ripetuti attacchi ed il tentativo di scalare le verticali pareti meridionali della Marmolada, per altro ben sorvegliate e tenute sotto tiro dagli austriaci.



Fu così che, nell’estate del 1917, osservando la parete sovrastante a picco il Pian d’Ombretta, si notò sotto alle creste della Regina delle Dolomiti, un’ampia cengia a quota 2900 circa, che avrebbe potuto ospitare una squadra di Alpini da lanciare successivamente alla conquista delle postazioni austriache di quota 3153. Nacque così un’idea totalmente fuori dagli schemi e quasi surreale: utilizzare un pallone aerostatico frenato per trasportare nell’oscurità della notte, da terra, lungo la parete fino alla cengia per oltre 500 metri praticamente impossibili da arrampicare, uomini, armi e quanto potesse rivelarsi utile in vista di un’azione contro la soprastante roccaforte nemica.



Sebbene l’idea non piacesse affatto agli Alpini, al contrario trovava il forte interesse ed il sostegno da parte del colonnello Giuseppe Garibaldi, detto Peppino Garibaldi, comandante del settore Costabella-Marmolada e nipote del Giuseppe Garibaldi a cui state pensando.


Fra la fine di agosto e gli inizi di settembre il colonnello si mobilitò convocando dapprima l’esperto aeronauta Giuseppe Colombo, che giudicò l’impresa fattibile, e dunque il maggiore Porta, comandante del battaglione Val Cordevole, il capitano Baruchello, comandante della 206a compagnia del battaglione Val Cordevole e alcuni alpini rocciatori. Gli ufficiali e gli Alpini si espressero a sfavore di una tale impresa, ritenuta altamente rischiosa (sarebbero bastati un’oscillazione di troppo o un colpo di fucile sul pallone per “mandare all’aria” la missione) e replicando che sarebbe stato più fattibile scalare la parete, o come fece presente il capitano Baruchello, salire da Forcella a Vu tramite alcune cenge (cosa che poi effettivamente si fece per conquistare la quota 3153 prima di ripiegare definitivamente con Caporetto). Allo stesso modo si espresse il Corpo degli Aerostieri Specialisti, che giudicò inattuabile il piano, provocando di conseguenza il rifiuto di fornire mezzi per la missione da parte del Comando della 4a Armata.



Il colonnello Garibaldi tuttavia non si arrese, e anzi riuscì a farsi finanziare le spese per allestire il pallone aerostatico dall’industriale Cobianchi, produttore di spolette per l’artiglieria. 


Avviato il progetto, subito vi aderirono due rinomati aeronauti, l’Usuelli ed il Donner Flori, amico di Colombo.



Fu così che il generale Moris, comandante del Genio della 4a Armata e fondatore dell’Aeronautica Militare Italiana, dovette ricredersi, ed incaricò il tenente del Genio, l’ingegner Maggi, di recarsi a Milano presso il Cantiere Aereonautico Usuelli affinché fosse realizzato il pallone aerostatico a regola d’arte.


Fu quindi costruito un pallone sferico mimetizzato all’avanguardia, avente capacità di circa 900 metri cubi, che sarebbe stato ormeggiato e manovrato con maggiore sicurezza e stabilità grazie a tre funi metalliche regolate da tre argani installati su di una piazzola alle pendici della parete. 



Gli ancoraggi nel punto di approdo del pallone sul cengione furono preparati con estrema attenzione e perizia, così come anche la piazzola di partenza, individuata ai piedi della parete a quota 2481, dove si trovava uno spiazzo nascosto alla vista e al tiro del nemico.


Il pallone (sgonfio ovviamente), assieme a 90 bombole di idrogeno lunghe due metri e pesanti un quintale ciascuna, con tutto il materiale necessario per l’assemblaggio, furono quindi portati a Rocca Pietore, dove il generale Moris esaminò il tutto ed impartì le direttive per il trasporto a Pian d’Ombretta, che avvenne a fine ottobre. Lì già era stato preparato il materiale da portare in quota con le ascensioni, ovvero una baracchetta smontabile, attrezzi, viveri, armi, munizioni, un argano manuale ed una lunga fune per garantire gli approvvigionamenti dal basso. 



Il piano era di sfruttare l’oscurità della notte per portare in quota a più riprese il pallone, pilotato da Donner Flori, in modo da far approdare sul cengione un certo numero di alpini e tutto il necessario per la successiva azione di conquista della quota 3153 che da lì sarebbe partita.


Bisognava solo attendere il via libera per il trasporto del pallone e di tutto l’equipaggiamento alla base della parete e dunque per la prima ascensione. Il via libera, tuttavia, nonostante i preparativi fossero quasi ultimati, non arrivò mai poiché fu preceduto da un altro ordine: quello di ripiegare sulla linea del Piave a causa dello sfondamento della linea del fronte a Caporetto.



Il pallone mimetico sgonfio fu così portato a valle ed il 9 novembre fu rinvenuto alla stazione ferroviaria di Cornuda.


Nella primavera del 1919 il pallone aerostatico venne esposto come curiosità storica alla Mostra Aviatoria di Taliedo (Milano), partecipando anche a delle gare organizzate per l’occasione, come ricorda il “Corriere della Sera” del 28 aprile dello stesso anno.


[Trinceo]

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