Passa ai contenuti principali

Post 113 - I ripari Tomàss

 


Tra i luoghi più incantevoli del Feltrino per svolgere delle belle passeggiate all’aria aperta, la Valle di Lamen è uno dei primi pensieri. La valle è simbolicamente una delle porte del Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi, con sentieri che consentono di esplorarla quasi interamente, dai sentieri semplici per la cima del Monte Pafagai ai sentieri per i più esperti e temerari che conducono al Forzellon, l’imbocco sud della Busa delle Vette.


L’offerta turistica è ricca e, come è giusto che sia, si intreccia con il mondo pastorale che da sempre la interessa. Un consiglio: andate a mangiare lo schiz di Luca, erede di una secolare tradizione.



Ma prima dell’agriturismo e della vocazione turistica della valle cosa c’era? Beh un anno fa vi raccontavamo del ritrovamento del pugnale eneolitico da parte di Santo Balén (Post 58). All’inizio degli anni ‘60 ci fu una prima segnalazione di rinvenimenti archeologici presso il riparo Tomàss da R. Dal Prà e G. Pauletti. Negli anni ‘80 l'associazione Ippogrifo promosse delle ricerche di superficie, poi divenute, tra il 1993 e il 1999, delle vere e proprie campagne di scavo, effettuate dal Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Milano, poi dal Dipartimento di Scienze Geologiche e Geotecnologiche, dalla Soprintendenza dei Beni Archeologici del Veneto con il supporto della sezione del C.A.I. di Feltre.



Le attività hanno riguardato principalmente due dei sei siti individuati, i ripari Tomàss A e B. Il riparo Tomàss A è un'ampia volta che si apre verso sud, dal sito si ha una bella vista panoramica della valle. Il sito è posto a poca distanza da un piccolo torrente, che scorre lungo la forra detta localmente  “Bus del Boal de l’Armenta”.


L’indagine effettuata non ha interessato l’intero deposito del riparo, ma si è limitato ad un saggio di circa 4 mq. Questo ha permesso di riconoscere una sequenza (ad oggi ancora parziale) delle frequentazioni del riparo, e, in un certo senso, che hanno coinvolto la Valle di Lamen.



La frequentazione più superficiali (UUSS[1] T0 - T1 - T1b[2]) conteneva frammenti ceramici tardo antichi, cioè tra il III e il VIII secolo d.C.. I frammenti sono principalmente inquadrabili come tipologia a delle olle in ceramica grezza. Non mancano frammenti di reperti ben più antichi, frutto di rimaneggiamenti degli strati più bassi. Non mancano nemmeno frammenti di vetro, provenienti sempre da strati tardoantichi. Lo strato successivo (US T2) presenta frequentazioni più prettamente romane, testimoniate da frammenti di ceramica grossolana e e ceramica sigillata. Inoltre, da questo stesso strato, provengono due spilloni bronzei, una forma di fusione e un frammento di falcetto in bronzo e alcuni frammenti di ceramica grossolana con decorazione a cordone plastico, associati a manufatti litici, questi reperti sono inquadrabili all’Età del Bronzo finale. 


Segue un’alternanza di strati con frequentazioni e abbandoni: gli strati T3i e T3c presentano al loro interno reperti inquadrabili genericamente all’età del Bronzo. Si tratta di pochi frammenti ceramici.

A partire dalla US T3t sono risultati numerosissimi frammenti elementi di industria litica: tra questi spiccano due punte di freccia, una in fase di lavorazione e una finita a spalle e peduncolo. Insieme a questa è stata rinvenuta della ceramica con decorazione a digitature. Questo strato è inquadrabile nel Neolitico tardo/finale.

Sotto questo strato, gli studiosi riportano la presenza di altri due strati, uno scavato ma privo di reperti e uno non indagato ma con dei reperti, che testimonia una frequentazione ancora più antica.

Insomma, si delinea una situazione complessa, con frequentazioni del riparo a partire dal Neolitico tardo/finale ai giorni nostri, dove probabilmente nell’età del Bronzo venivano anche praticate delle fusioni.



Il riparo Tomàss B presenta una situazione relativamente più semplice. Sotto gli strati superficiali è emersa una sepoltura femminile, e purtroppo lo scavo della fossa ha intaccato gli strati dell’età del Bronzo e Neolitici, tanto che alcuni dei reperti sono stati ritrovati durante un successivo scavo nella terra di riempimento.

Cosa sappiamo della inumata? pochissimo, lo studio sui resti ossei non è mai partito seppur sia stato inoltrato a dei centri di studio. Sappiamo che doveva avere un’età compresa tra i 20 e 30 anni,  che era di corporatura esile e doveva avere molta difficoltà nei movimenti, causati da una lussazione bilaterale delle anche, inoltre presentava una torsione dei femori che causa un certo valgismo delle ginocchia. In parole povere, questa donna camminava poco, malamente e sicuramente con forti dolori. A complicare la sua situazione l, il suo cranio presenta della porosità: anche lei, come l’uomo di Val di Rosna, soffriva di iperostori porotica, conseguente ad una anemia genetica oppure dovuta all’alimentazione.

Insomma, non se la passava bene: raggiungere i ripari per lei dev’essere stato talmente pesante a livello fisico da compromettere la sua salute. 


I ripari Tomàss testimoniano la frequenza umana anche alle quote medie della montagna bellunese e feltrina a partire dal Neolitico, raccontano della vita difficile degli abitanti della vallata e delle strategie e degli usi adottati, delle fatiche e dei dolori, delle speranze. In queste poche righe si è narrato poco, perché ancora oggi poco è noto riguardo a questo sito, ma la ricerca va avanti e le storie del territorio si arricchiranno.


[MattIki]

Note

[1] US e UUSS: abbreviazione di “Unità Stratigrafica”: con il raddoppio delle lettere si indica il plurale.

[2] Per la numerazione delle US è stata curiosamente aggiunta una “T”, iniziale del sito.


Commenti

Post popolari in questo blog

Post 38 – Il Sas del Diàol, a Facen

  Oggi vi parliamo di un misterioso masso inciso!  Si chiama “ Sas di Pirulava ” o più notoriamente “ Sas del Diaol ”, ed è stato scoperto da Candido Greco nel 1977, studioso che ci ha fornito la prima descrizione delle incisioni presenti. Il masso è di dimensioni di circa 90 x 110 cm ed è leggibile solo nella faccia orientata verso sud-est. Presenta una decina di segni a forma di croce, di cui tre che poggiano su dei cerchi contenenti altre croci di dimensioni minori e quella che sembra una lettera “A”. Greco interpreta le iscrizioni come simboli preromani, individuando dei numeri etruschi dei quali i Reti si sarebbero serviti per misurare le libbre di fieno tagliato in loco. Inoltre altri simboli parrebbero legati al culto di Mitra.  Nelle note del testo, inoltre, vengono presentati a titolo esemplificativo e comparativo ulteriori massi che riportano croci incise, ma dotati anche di coppelle. Un appunto: nel testo si fa riferimento a questo masso come quello che secondo la leggenda s

Post 147 - La chiesa della discordia

  In alcuni post precedenti ( post 123 e 124 ) abbiamo ricostruito la storia delle frane dell’Antelao che hanno coinvolto Borca e San Vito. Durante la frana del 7 luglio 1737, stando alle memorie del pievano Bartolomeo Zambelli, il primo edificio a restar sotterrato fu la chiesa di San Canciano che sorgeva sul confine tra Borca e San Vito, chiesa che fu in seguito ricostruita accanto all’antica Strada regia ( post 101 e 102 ), nel territorio di San Vito, ad una novantina di metri dal confine. Ne nacque molto tempo dopo una contesa, di cui vi parleremo oggi. La storia della chiesa di San Canciano è assai antica. Vi è infatti un atto notarile datato 1418 rogato dal notaio Bartolomeo fu ser Ungaro in cui il testatore lega due prati in val di Tiera al lume di San Canciano: in altre parole si lasciava per testamento due prati alla suddetta chiesa perché col ricavato si mantenesse un lume acceso per il santo [1]. Dai documenti delle visite pastorali del 1604 conservati nell’Archivio della Cu

Post 104 – Il colle delle ville. Prima parte.

  La nostra provincia è principalmente nota (se davvero è nota per qualcosa) per le sue splendide catene montuose. Meno noti potrebbero essere invece gli intriganti paesaggi rurali della Valbelluna, valle collocata tra le Prealpi e le Dolomiti e percorsa in quasi tutta la sua lunghezza dal fiume Piave, alimentato da numerosi affluenti che scendono dai monti circostanti. Al di là di centri come Feltre, Sedico, Trichiana o Belluno stessa, caratterizzati dai tipici processi di urbanizzazione degli ultimi decenni, questa porzione di territorio è punteggiata da centri minori, fattorie, case rurali e ville venete.  Nella zona circoscritta che prendiamo in considerazione in questo post, un colle collocato a nord-est di Feltre, i segni di un passato rurale sono tuttora ben visibili nella campagna delle frazioni Vellai e Cart e delle località loro circostanti. Uno degli elementi più suggestivi di questo paesaggio, facilmente idealizzabile nel ricordo dei “bei tempi andati” (e forse mai esistiti