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Post 110 – Il cielo notturno nella tradizione popolare bellunese

 


Quale argomento migliore del cielo notturno, per un post che cade il 10 di agosto? Si tratta di un argomento che, a naso, potremmo pensare scollegato da tradizioni popolari specifiche, ovviamente sbagliando. Anche nelle nostre zone nacquero – in un passato non ben determinato – modi locali di concepire le stelle e le costellazioni, talvolta inedite nel resto d’Italia. Questo tema, davvero interessante e poco studiato, ha però ben poche possibilità di approfondimenti futuri. Capiamo il perché. 

Per la scrittura del presente post si è preso come riferimento principale un articolo di Marco Rech scritto per l’Associazione astronomica feltrina Rheticus nel 1990, e già allora le informazioni riportate erano considerate estremamente frammentarie, relitti di una trazione popolaresca in estinzione, tutti molto scollegati, emersi dai ricordi d’infanzia dell’autore e dalle testimonianze dei pochi anziani che ancora riuscivano a riportare qualcosa. A distanza di trentadue anni tocca constatare che gli studi in merito potrebbero non essere portati avanti, a causa di una tradizione unicamente orale che forse è andata irrimediabilmente perduta. 

Rech parla di una localizzazione feltrina della costellazione di Orione, viva in special modo in Val di Seren. È tramandato il nome popolaresco, che la identifica come costellazione dei “Viadór”. Il sostantivo viadór non è in uso comune nel dialetto e non lo è stato neanche in passato. Consultando il Dizionario del Feltrino Rustico di Bruno Migliorini si riscontrano “viado” e “viaž” (entrambe maniere per dire “viaggio”), ma non il temine a cui facciamo riferimento. Esso sembra piuttosto una dialettizzazione del latino vĭātŏres, dal significato dubbio. Queste stelle fanno riferimento a viandanti oppure a messaggeri? Lo stesso autore se lo chiede e rivolge la domanda ai suoi interlocutori, che non riescono a dare una risposta. Evidentemente, la leggenda che spiegava il motivo e la natura di tale nome era già andata perduta, forse addirittura decenni addietro. 



In altri luoghi della provincia, invece, si considera unicamente una parte della famosa costellazione, ovvero la più visibile cintura centrale. Unendo queste tre stelle a Rigel o Betelgeuse quel che si ottiene è una sorta di rastrello, ed è proprio così che è nota nell’Agordino e a Zoldo: i Restiéi. Contrariamente alla precedente tradizione, questa è diffusa – credibilmente nascendo ogni volta in maniera indipendente – presso molti altri popoli d’Europa e del mondo.

Testimonianze sopravvissute o meno, quel che è certo è che l’osservazione degli astri era d’utilità quando si parlava di misurazione del tempo. Il Sole di giorno faceva comprendere l’ora esatta passando dietro o di fianco a certi picchi (che hanno di conseguenza assunto un “nome orario”, come lo Spiz di Mezzodì nello Zoldano o Cima Dodici nelle Vette Feltrine), e alla stessa maniera il sorgere o il tramontare di determinate costellazioni faceva collocare temporalmente la notte. Riprendiamo il caso dei Viadór. Sempre Rech riporta il detto: “A metà jenèr, le brave filarése le manda i Viadór a punèr”. A metà gennaio le filatrici diligenti mandano a letto la costellazione di Orione, quindi stanno in piedi a svolgere il loro lavoro dopo che essa è tramontata. Per il quindici di gennaio si fa perciò riferimento alle due e mezza del mattino.

Nel Bellunese, invece, lo stesso detto vale per l’ammasso delle Pleiadi, che nelle nostre zone tramontano curiosamente quasi nello stesso momento di Orione, a pochi minuti di distanza. Queste stelle sono qui note come “Le Sète”, nome di origine colta, non popolare, che fa riferimento alle sette sorelle della mitologia greca, le Pleiadi, appunto. Situazione differente si ha nel Feltrino, dove il nome adottato è invece quello di “Ciochéta”, piccola chioccia. Anche in questo caso è una tradizione condivisa con altri popoli d’Europa, incluso il folclore vichingo. L’ammasso di stelle, infatti, rimanderebbe nella forma a una gallinella accovacciata. Giovanni Pascoli, a inizio Novecento, elevò questa tradizione contadina nella poesia “Il gelsomino notturno”. 

Concludiamo con due ultime informazioni, una aneddotica e un’altra piuttosto enigmatica. Per quando riguarda la nostra galassia, è attestato il nome popolaresco di “Stradon de la Madona”; l’identificazione con una strada non ci deve sorprendere (si vedano anche l’italiano “Via Lattea” e l’inglese “Milky Way”), mentre il riferimento religioso è – ancora una volta – tipico della tradizione contadina.



Il secondo caso, invece, è imperniato sul bizzarro “Piero”. Forse derivante da una più antica leggenda che collegherebbe la stella a San Pietro, fa probabile riferimento a Sirio. Probabile, e non certo, in quanto alcune fonti riportano per questo nome il pianeta Venere. Sempre Migliorini, nel 1972 riportava come validi entrambi i casi, ma di per certo si tratta di una sovrapposizione posteriore dovuta al decadimento della tradizione e alla confusione della mitologia legata al cielo notturno. Sirio era una stella importantissima per questioni legate all’orientamento autunnale e prende nomi molto differenti anche a distanza di pochi chilometri. “Stella Boara” è riscontrato a Feltre, ma è di sicuro un’importazione dalla pianura veneta, dal momento che non ve n’è traccia nelle campagne. Di nomi locali si sono salvati anche “Stéla bèla” e“Piero žìgaro”, quest’ultimo con ipotesi semantiche molto speculative. 

Tutti gli esempi che abbiamo fatto si spera abbiano aiutato a comprendere la complessità nella concezione locale del cielo notturno. Un nostro rammarico va, ancora una volta, a tutte quelle tradizioni che sono irrimediabilmente andate perdute. 

[ilCervo]

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