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Post 108 - Le fortificazioni del Sasso di San Martino: Ottocento, Grande Guerra e Germania nazista.

 

Il Sass de San Martìn e il Castèl Gordìn, di cui si è parlato nel Post 99, vissero una lunga e tortuosa fase di scontri, seguita da una nuova fase di rinnovamento e successivamente di abbandono graduale, che ebbe il suo culmine alle fine del Settecento, quando la viabilità fu modificata con la costruzione del Ponte dei Castèi.

Non finisce però qui la storia, perché il sito fortificato tornò al centro delle attenzioni all’indomani dell’annessione del Veneto al Regno d’Italia, nel 1866. Fu dopo questo processo di transizione ed unificazione territoriale che la valenza strategica e militare dell’area fu rivalutata e presa in considerazione dal neonato Regno d’Italia, con funzione anti-austriaca.



A partire da quella data infatti l’attività militare italiana lungo i confini con l’Austria si intensificò fino a raggiungere ritmi frenetici tra la fine del XIX secolo e l’inizio del successivo, non solo con manovre, esercitazioni e rilievi topografici, ma anche e soprattutto con la costruzione di imponenti opere difensive, la cui presenza caratterizza tutt’oggi una buona parte del territorio bellunese, fra cui l’Agordino stesso in più zone.  



Nello specifico, l’area del Sass de San Martin fu completamente rifortificata tra il 1883 ed il 1887, per essere in grado di bloccare un’eventuale avanzata austriaca da nord. Furono edificate in questo contesto la Tagliata di San Martino ed il Forte dei Castei, assieme a tutta una serie di camminamenti e postazioni articolati fra il Sass de San Martin ed il Col Pizzon. Questi, ancor oggi in buona parte ripercorribili nel sentiero tematico de “La montagna dimenticata”, ebbero un ruolo chiave nel rendere la zona abitabile e difendibile da contingenti armati  in caso di guerra.


La Tagliata fu costruita alle pendici sud-est del Sass (nella zona in cui oggi si trova la casa cantoniera dell’ANAS), a controllo del ponte dei Castei, di un breve tratto di strada in direzione Agordo e di un ampio tratto di strada in direzione Belluno. La Tagliata era costituita da tre casematte, disposte in modo da circoscrivere un cortile interno chiuso dalla parete del Sass, ed era circondata da un fossato largo 4 metri e profondo altrettanto dotato di controscarpa murata. Il fronte nord-est della fortificazione (rivolto verso il ponte) era dotato di due aperture per cannoni a tiro rapido, tre feritoie nel piano superiore e quattro in quello inferiore. 



Il fronte sud-est (rivolto verso Belluno) era dotato di un’apertura per cannone da 12 cm, due feritoie nel piano superiore e cinque in quello inferiore. Infine, il fronte sud-ovest costituiva, con sole feritoie per fucileria, l’ingresso alla Tagliata, a cui si accedeva tramite un ponte in legno retrattile. A difesa dei fronti nord-est e sud-ovest, con le relative parti di fossato, c’era una galleria scavata nel Sass de San Martin con due feritoie per fucilieri su ogni piano, mentre il fronte sud-est e la relativa parte di fossato furono dotati di un’ulteriore accortezza difensiva, grazie alla costruzione di una galleria per fucilieri ricavata nella controscarpa del fossato. Sulla parete rocciosa soprastante la Tagliata, c’erano poi due casematte per cannoni, raggiungibili tramite un passaggio coperto.


Nell’area in cui sorgeva un tempo il Castel Gordin, fra il Col Pizzon ed il Sass, venne invece edificato il Forte dei Castei, ovvero un Corpo di Guardia (o Blockhaus), a controllo della strada nel punto più stretto della Val Cordevole e dell’antico percorso di collegamento fra Belluno e Agordo, che di lì passava. La Blockhaus, giudicata inattaccabile dagli austriaci, era raggiungibile tramite una mulattiera che partiva dall’area antistante l’entrata della Tagliata e tramite il passaggio coperto delle casematte sulla parete del Sass. 


Ancor oggi ben visibile, se non per alcune parti coperte da fitta vegetazione, la fortificazione si presenta come un edificio lungo circa 30 metri e largo 7, chiuso ai lati corti dalle pareti rocciose dei due rilievi montuosi già citati, attraversabile solamente tramite un varco ricavato nell’estremità occidentale dell’edificio a ridosso della parete rocciosa.


L’interno della Blockhaus era costituito da 4 stanzoni, sotto i quali si trovava una cisterna per la raccolta dell’acqua, e da un quinto ambiente. Gli stanzoni erano dotati di feritoie per fucileria e aperture per pezzi d’artiglieria sia verso Belluno sia verso Agordo, mentre il quinto ambiente doveva servire, oltre che per ospitare le latrine, per difendere le facciate della fortificazione, come attestato dalle numerose feritoie anche nell’ambiente delle latrine stesse. Il quinto ambiente, peraltro, essendo scavato alle pendici del Sass de San Martin, serviva poi per accedere sia ad un piano superiore scavato nel Sass sia ad una polveriera in grotta, collegata con l’esterno sul versante Agordino. 


Nel versante meridionale del Corpo di Guardia, all’esterno, si trovava un’altra postazione in grotta, che doveva servire a ospitare ulteriori pezzi d’artiglieria con relativo munizionamento.



Prima dello scoppio della Grande Guerra, la vetta del Sass fu riadattata con l’eliminazione della chiesetta e la creazione di uno spiazzo protetto su cui dovevano essere collocati 4/6 pezzi d’artiglieria da montagna, che avrebbero avuto il compito di battere, oltre che la rete viaria, i rilievi circostanti. 


A ridosso del conflitto e durante lo stesso, sul Col Pizzon e sul Sass de San Martin furono poi create ulteriori opere belliche, ancor oggi in parte visibili, nell’ottica di frenare un ipotetico sfondamento della linea del fronte.

Dopo Caporetto, tuttavia, queste opere non furono utilizzate come ci si potrebbe aspettare, e anzi il 10 novembre 1917, con le truppe italiane in ritirata, la Tagliata fu fatta brillare assieme al ponte e ad un pezzo di strada da un addetto alle interruzioni stradali, Calgaro Adriano, del 5° Reggimento Genio, che riuscì a dare fuoco ad alcune delle micce collegate alle cariche esplosive posizionate all’interno della fortificazione.


Quel che rimase del complesso fortificato tornò ad essere presidiato dalla natura, e riprese a essere  quell’ambiente selvaggio che mai aveva abbandonato del tutto questi luoghi, almeno fino al Secondo conflitto mondiale.



Il Bellunese, infatti, tornò ad essere teatro di guerra nel giro di appena un quarto di secolo dal conflitto precedente, passando nel settembre del 1943 sotto al diretto controllo della Germania nazista, in quella che sarebbe passata alla storia come OZAV, acronimo di Operationszone Alpenvorland, ovvero la Zona di Operazioni delle Prealpi.


Se i reclutamenti forzati delle popolazioni locali nell’esercito tedesco servirono a poco, ebbe invece un maggiore successo l’inquadramento della popolazione all’interno dell’organizzazione paramilitare tedesca TODT, per la quale si stima che abbiano lavorato dai 12.000 ai 15.000 operai. La TODT aveva il compito di costruire infrastrutture, fortificazioni e opere difensive nei territori occupati in corrispondenza delle principali vie di comunicazione e dei luoghi strategici, con la funzione di arrestare un’eventuale avanzata Alleata da sud. I settori interessati dai lavori furono: la valle del Piave a Castellavazzo e Termine di Cadore; la val Zoldana a Forno di Zoldo; la valle del Mis in zona Titèle (colonna di cemento e gallerie); la val Cismón e le zone prossime alla Valsugana; e quindi la val Cordevole nel suo punto cruciale: la zona dei Castei e del Sass de San Martin.



Qui la TODT pensò bene di sfruttare le postazioni e le costruzioni ancora esistenti per i propri fini, anche e soprattutto considerandone la posizione. Diedero così l’avvio alla ristrutturazione della Blockhaus e all’aggiunta di ulteriori postazioni di tiro, trincee e gallerie per gli spostamenti al coperto dal fuoco nemico.



I tedeschi, tuttavia, non arrivarono mai ad utilizzare quanto costruito dalla manodopera locale nella Val Cordevole e, anzi, questa zona fu usata dai partigiani come caposaldo per aspri scontri e per far arrendere contingenti tedeschi in ritirata fra la fine di aprile e gli inizi di maggio del 1945, a ridosso dei giorni della Liberazione del Bellunese.



Il 27 aprile, infatti, i partigiani cercarono di bloccare le colonne tedesche in ritirata con un tenace tentativo di far brillare il ponte dei Castei, ma ciò non fu possibile a causa di un furioso scontro ingaggiato col nemico, che ebbe la meglio riuscendo a sbaragliare le resistenze e a proseguire fino ad Agordo. Nei giorni seguenti si sarebbero susseguiti altri scontri e rese da parte di contingenti tedeschi in transito nella zona, che avrebbero impedito ulteriori tentativi di far saltare in aria il ponte. Solo il giorno 29 si riuscì a compiere un’azione di sabotaggio in zona Castei, facendo esplodere una mina sulla strada vicino al ponte e causandone l’interruzione con successo. Fu così che ancora per alcuni giorni, fino al 2 maggio, con la Liberazione di Belluno, più colonne tedesche in ritirata qui si arresero e posero fine alle proprie operazioni militari, segnando l’ultimo, definitivo ritorno del complesso fortificato alla natura.


[Trinceo]

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