Comizio conclusivo dello sciopero generale di solidarietà dei lavoratori bellunesi con le maestranze della Manifattura delle Alpi, Belluno, Piazza Piloni, 23 ottobre 1968 |
9 ottobre 1968. Esattamente cinque anni dopo il disastro del Vajont, le operaie della “Manifattura delle Alpi” ricevono una lettera dalla direzione centrale. La loro fabbrica sta per essere chiusa, il loro rapporto di lavoro ha, quindi, da considerarsi terminato.
Una delle operaie ricorda così quel momento: «All’uscita dal turno di lavoro, ci hanno detto di ritornare a casa, di preparare una borsa con l’indispensabile e di essere pronte a occupare la fabbrica. Ho fatto proprio così. Non avevo ancora 17 anni». Il 13 ottobre viene decisa l’occupazione con un supporto politico trasversale, dal sindaco di Ponte nelle Alpi (Umberto Orzes, PSI) al prete del paese (don Fortunato Zalivani), ai lavoratori cattolici delle ACLI e agli studenti Sessantottini di Belluno, mentre Prefetto e personalità politiche lavorano a una soluzione.
La Manifattura delle Alpi nasce tra 1962 e 1963 grazie a importanti agevolazioni da parte del Comune, del BIM e dello Stato, con una produzione concentrata sulla maglieria pregiata per bambini, occupando circa 300 persone, di cui la stragrande maggioranza donne. In molti casi, questo stipendio rappresenta l’unica entrata stabile delle famiglie.
Le condizioni di lavoro non sono facilissime, e anzi dall’inizio dell’anno le difficoltà, in termini di turni e carico di lavoro, stanno facendo montare le premesse per la successiva occupazione. Il commento di una lavoratrice, riportato in un articolo dell’Unità firmato da Ferruccio Vendramini e precedente ai fatti dell’autunno ‘68, ci descrive il “ricatto” contro cui le lotte però si infrangevano:
«Bisogna sputare dolce anche se dentro c’è l’amaro. Chi vorrebbe vedere i propri figli
costretti a emigrare lontano da casa? Perciò si continua a sopportare. Ma è giusto
che ci sia il ricatto: o lavorare a queste condizioni o emigrare?».
Durante l’occupazione, c’è anche lo sciopero generale di tutti i lavoratori e di tutte le lavoratrici della provincia. Alla testa del corteo che attraversa Belluno, ci sono 50 operaie della Manifattura.
Il 16 novembre 1968 viene raggiunto un accordo: si trova un nuovo acquirente e lo stabilimento cambia nome in “Maglificio Pian di Vedoja”. Il reinserimento tocca però solo 170 delle quasi 300 lavoratrici. Il numero degli occupati cala fino al 6 maggio 1977, quando un incendio distrugge lo stabilimento. Gli sforzi per ricostruirlo fallirono.
Nel suo studio sulla storia di questa fabbrica, Paola Salomon scrive: «Si chiude con questo incendio, dunque, una vicenda emblematica per quegli anni, in cui oltre duecento lavoratori, in prevalenza donne, lottarono per il loro riscatto sociale, la dignità e il diritto al lavoro e il futuro della loro terra, mobilitando la partecipazione corale di tutta la comunità locale».
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