Passa ai contenuti principali

Post 93 – Il Comune medievale e le sue finanze

 


Vi siete mai chiesti con che denaro la Città provvedesse alle sue esigenze (mantenere una guarnigione, costruire ponti e strade, tenere in acconcio le mura…)?


La quasi totalità delle entrate del Comune bellunese proveniva dai dazi. Di cosa si trattava? Si trattava di una serie di imposte e di gabelle che tassavano certi commerci e consumi a vario titolo, su cui possiamo desumere varie informazioni da una fonte molto importante: gli Statuti della città, pervenutici nella forma che assunsero l’anno 1392 grazie a una copia manoscritta del 1433 (di cui vi proponiamo qualche meravigliosa pagina nella galleria ↑).


In alto, la rubrica che apre i capitoli riguardanti il dazio sul vino: «De dacio vini ad minutum rubrica». ASCB, f.m., ms. 542, c. 117v.


Il dazio della bolla del pane, ad esempio, imponeva una tassa sulla panificazione: i fornai dovevano infatti imprimere il timbro fornito dai dazieri su ogni pagnotta prima di cuocerla. C’era poi un dazio sulla vendita di vino nelle osterie e nelle cosiddette ‘caneve’, e uno sulla compravendita di bestiame. Ma oltre a queste tassazioni sui consumi interni, era presente un altro genere di dazi: quelli delle dogane poste sulle vie di comunicazione.


Ogni via che attraversava i confini del Distretto di Belluno era ben controllata, e le merci che vi transitavano erano sottoposte a dazio. La dogana più importante, la cosiddetta “Muda Grande”, era situata a Ponte nelle Alpi, dove il ponte sul Piave costituiva un passaggio obbligato per chi percorresse la Strada d’Alemagna (allora “Strada Regia”), che salendo per il Fadalto imboccava poi la valle del Piave e attraverso il Cadore e l’Ampezzo collegava la pianura veneta ai territori d’Oltralpe.


L’incipit degli Statuti. ASCB, f.m., ms. 542, c. 11r.


Lascia veramente esterrefatti, viste le condizioni di percorribilità — specie d’inverno — scoprire quanto tale via fosse trafficata. Questo esempio può rendere l’idea: 2.250 ettolitri di vino prodotto a Conegliano nel 1365 (il 45% delle esportazioni della città), percorsero nell’anno successivo la Strada Regia per dirigersi parte nel Bellunese ma soprattutto verso la Germania, da cui proveniva grandissima richiesta.

Foto su gentile concessione dell’Archivio Storico Comunale di Belluno. Concessione n. 3/2022.

[Nic]

Commenti

Post popolari in questo blog

Post 38 – Il Sas del Diàol, a Facen

  Oggi vi parliamo di un misterioso masso inciso!  Si chiama “ Sas di Pirulava ” o più notoriamente “ Sas del Diaol ”, ed è stato scoperto da Candido Greco nel 1977, studioso che ci ha fornito la prima descrizione delle incisioni presenti. Il masso è di dimensioni di circa 90 x 110 cm ed è leggibile solo nella faccia orientata verso sud-est. Presenta una decina di segni a forma di croce, di cui tre che poggiano su dei cerchi contenenti altre croci di dimensioni minori e quella che sembra una lettera “A”. Greco interpreta le iscrizioni come simboli preromani, individuando dei numeri etruschi dei quali i Reti si sarebbero serviti per misurare le libbre di fieno tagliato in loco. Inoltre altri simboli parrebbero legati al culto di Mitra.  Nelle note del testo, inoltre, vengono presentati a titolo esemplificativo e comparativo ulteriori massi che riportano croci incise, ma dotati anche di coppelle. Un appunto: nel testo si fa riferimento a questo masso come quello che secondo la leggenda s

Post 147 - La chiesa della discordia

  In alcuni post precedenti ( post 123 e 124 ) abbiamo ricostruito la storia delle frane dell’Antelao che hanno coinvolto Borca e San Vito. Durante la frana del 7 luglio 1737, stando alle memorie del pievano Bartolomeo Zambelli, il primo edificio a restar sotterrato fu la chiesa di San Canciano che sorgeva sul confine tra Borca e San Vito, chiesa che fu in seguito ricostruita accanto all’antica Strada regia ( post 101 e 102 ), nel territorio di San Vito, ad una novantina di metri dal confine. Ne nacque molto tempo dopo una contesa, di cui vi parleremo oggi. La storia della chiesa di San Canciano è assai antica. Vi è infatti un atto notarile datato 1418 rogato dal notaio Bartolomeo fu ser Ungaro in cui il testatore lega due prati in val di Tiera al lume di San Canciano: in altre parole si lasciava per testamento due prati alla suddetta chiesa perché col ricavato si mantenesse un lume acceso per il santo [1]. Dai documenti delle visite pastorali del 1604 conservati nell’Archivio della Cu

Post 104 – Il colle delle ville. Prima parte.

  La nostra provincia è principalmente nota (se davvero è nota per qualcosa) per le sue splendide catene montuose. Meno noti potrebbero essere invece gli intriganti paesaggi rurali della Valbelluna, valle collocata tra le Prealpi e le Dolomiti e percorsa in quasi tutta la sua lunghezza dal fiume Piave, alimentato da numerosi affluenti che scendono dai monti circostanti. Al di là di centri come Feltre, Sedico, Trichiana o Belluno stessa, caratterizzati dai tipici processi di urbanizzazione degli ultimi decenni, questa porzione di territorio è punteggiata da centri minori, fattorie, case rurali e ville venete.  Nella zona circoscritta che prendiamo in considerazione in questo post, un colle collocato a nord-est di Feltre, i segni di un passato rurale sono tuttora ben visibili nella campagna delle frazioni Vellai e Cart e delle località loro circostanti. Uno degli elementi più suggestivi di questo paesaggio, facilmente idealizzabile nel ricordo dei “bei tempi andati” (e forse mai esistiti