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Post 85 – A chi ci si rivolgeva nel ‘500 per la grigliata di Pasquetta

A Belluno erano presenti due macellerie (‘becharie’) pubbliche, gestite dal governo cittadino, che le dava in appalto tutti gli anni nel periodo precedente a Pasqua. Si trovavano una in Campedel, fuori le mura, e l’altra sotto il portico del Palazzo della Caminada, luogo ben visibile peraltro nella foto di copertina che usiamo per i post della rubrica «Il Bellunese in età veneziana». 

I ‘doi zochi’ della beccaria (così ci si riferiva al ceppo di cui la macelleria era dotata, che fungeva da tagliere: è presente anche nel dipinto di Carracci, sulla destra) venivano assegnati al miglior offerente, per assicurarsi che la città fosse sempre ben rifornita di carne al miglior prezzo possibile. Chi partecipava al bando doveva presentare una serie di garanzie, valutando le quali il Maggior Consiglio assegnava la gestione per l’anno venturo.

La cosa più interessante di tutte è forse il fatto che i partecipanti, nelle loro ‘suppliche’, dovevano presentare la lista dei prezzi che avrebbero tenuto per i vari tipi di carne: il che ci dà testimonianza di che carni si consumassero allora, nonché un vivido spaccato del mercato, con i suoi prezzi e le sue dinamiche. Ad esempio, un punto che appare tra le prime preoccupazioni di allora riguarda la disponibilità di capretti e agnelli per il periodo pasquale, durante il quale, dopo la lunga Quaresima, c’era un’altissima richiesta.

Prima di passare ai documenti, una piccola introduzione storica, terminologica e metrologica. Innanzitutto, la misura di peso in vigore allora per merci di questo tipo era la libbra grossa (che troveremo nella forma contratta ‘lira’). Ogni città aveva la propria, e quella di Cividal di Belluno valeva circa 0,516 kg. 

La moneta invece in cui si stilavano i conti era la Lira di piccoli (da non confondersi appunto con la “libbra” appena citata, parola con cui ha in comune). Una lira si divideva in 20 soldi, e ogni soldo in 12 piccoli (o denari). Una lira valeva quindi 20 soldi oppure 240 piccoli. Per fare un ducato — moneta che citiamo solo per completezza dato che è di valore troppo alto per comparire nei brani che leggerete — servivano 6 lire e 4 soldi. Tradurremo e commenteremo tra parentesi poi alcune parole di difficile lettura o comprensione, ma solo nel caso in cui l’interpretazione sia univoca, preferendo astenerci quando risulti invece dubbia anche per noi.

Un particolare problema di scarsità riguardava le candele, che allora si fabbricavano (anche) di sego, e pertanto venivano vendute in macelleria. I beccari si premuravano sempre di sottolineare che avrebbero importato da fuori una grossa quantità di questa materia prima. Jeronimo Paulini il 28 febbraio 1554 chiedeva ad esempio al Rettore e ai Consiglieri che 

«al vi piaqua a darli una bancha de la beccharia dentro in la piazza [la bottega sotto la Caminada insomma], obligandosi a tenire bone carne alli priesi [prezzi] sottoscritti, et dare le candelle del sevo [sego] che farà la beccharia, et condurne lire cinquecento et più a soldi 6 la lira; et quando mi volesi dare licentia che le vendo soldi 7, io torò a mantenire la Terra [la città], et mai lassar manchare che non ghe ne sia.» 


Annibale Carracci, Piccola macelleria, 1582 ca., olio su tela. Fort Worth, Kimbell Art Museum. Fonte: www.analisidellopera.it

Riportiamo ora l’esempio di una tavola dei prezzi completa, in cui si può vedere che animali venissero macellati, e come ne venissero consumate tutte le parti, comprese le ‘coradelle’ (interiora) e le teste:

  • «  Carne d’agnello con teste et coradelle per mesi sei cominciando la vigilia di Pasqua delle resurettione prossima a soldi do la lira [libbra, come dicevamo], et da l’hora avanti a soldi do e mezo la lira

  • Vedelli et capretti per tutto il tempo a soldi tre la lira

  • Castroni zentili [pregati] a soldi do e mezo la lira

  • Castradi del paese da le mude in zo, et capre, et becchi, et pecore a soldi do la lira

  • Castradi, et piegore del paese dalle mude in su a soldi do e mezo la lira

  • Manzi forestieri [di importazione], et da le mude in su a soldi do e mezo la lira

  • Teste de castradi, et piegore soldo un et mezo l’una

  • Coradelle de castradi, et piegore con la sua redesella secondo il consuetto soldi tre l’una

  • Manzi del paese da le mude in zo a soldi do la lira

  • Porci, et porche castrade forestieri a soldi tre la lira

  • Candelle a soldi sei la lira »

Una curiosità che emerge è che non tutte le qualità di carne risultavano equivalenti sul banco del macellaio: notiamo in questa tavola ad esempio che quella di capi allevati nelle parti alte dell’attuale provincia («da le mude in su»: mude di Agre e Muda Maè) veniva considerata più pregiata di quella prodotta in Valbelluna («da le mude in zo»), e costava di più.

Non si prediligeva quindi il chilometro zero, ma, a livello ecologico, si badava alla stagionalità, o almeno così sembra dalle parole del beccaro Antonio Lotto, che supplicava

«che le vostre M. et vostre Sp. [serie di titoli onorifici a cui allora si teneva moltissimo] siano contente de conciedermi uno delli doi zochi delle beccarie, qual a quelle più piace; offerendomi di mantenir de bone carne continuamente secondo la stagione.»

[Nic]


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