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Post 82 - Gli squeri e la montagna

 

Cosa c’è di più veneziano di uno squero? Per chi non fosse avvezzo ai termini e alla cultura della città lagunare, uno “squero” è un piccolo cantiere navale, solitamente a conduzione familiare. Un tempo l’intera città era costellata da queste industriose officine che, in alcuni casi, creavano il paesaggio tipico dei canali più interni o secondari. Ancora attivi in gran numero all’inizio del secolo scorso, ne restano aperti ai giorni nostri soltanto tre, tra cui il ben conosciuto e instagrammato squero di San Trovaso.


Campo di S. Francesco della Vigna nella mappa di Ludovico Ughi, 1729.
La parte che si affacciava in laguna costituiva il "Campo dei Cadorini".

La stessa area ma in veduta aerea di Venezia di Ludovico Furlanetto (1770 circa).

Il dubbio è legittimo: c’entra davvero il Bellunese in tutto questo? Ebbene sì, considerando che l’apporto delle nostre maestranze fu decisivo per lo sviluppo delle imbarcazioni veneziane.

Tra il 1404 e il 1426 la Serenissima espande i propri orizzonti radicandosi profondamente nell'entroterra, e ottiene così ampi territori montani, nell’odierna provincia di Belluno. Non che prima non ci fossero relazioni commerciali tra queste due realtà, sia chiaro, ma da quel momento in poi le cose cambiano. Se precedentemente i Veneziani si rifornivano di legname sulle coste della Dalmazia (dal momento che nei dintorni della laguna sopravvivevano solo radi boschi relitti) con l’acquisizione delle montagne del bacino dell'Alto Piave convergono in Laguna mediante fluitazione tronchi su tronchi. Non stupisce, dato che Agordino, Zoldano, Cadore e Alpago sono territori che hanno sempre sfruttato il proprio patrimonio boschivo come vitale risorsa economica. Non solo: a partire dal secolo successivo, la Serenissima rende di sua esclusiva proprietà tre intere foreste: Cajàda, Cansiglio e Somadida. 

dettaglio del poggiolo intagliato allo Squero di San Trovaso. Possiamo apprezzare come le due anime -cadorina e veneziana - diano vita a un insieme armonioso.

Com’è noto, i tronchi fluitavano attraverso il Piave, guidati dalle mani esperte dei menadàs, e giungevano alle Zattere (è facile capire il perché di questo nome) oppure in quell’area che nel corso del Settecento sarebbe divenuta nota come “Fondamente Nove”. Ma quel che è importante è che assieme al legname arrivarono anche le maestranze. Da un lato lavoratori del legno, dall’altro veri e propri imprenditori. E proprio le Fondamenta Nove diventarono il fulcro della vita economica dei commercianti di legname del Cadore. La Repubblica aveva concesso loro il lembo più a nord del Campo di San Francesco, che da questo momento in poi acquisirà il nome informale di “Campo dei Cadorini”. Lo stesso Tiziano Vecellio fu mercante di legname: possedeva due segherie a Perarolo e anche lui organizzava nel suddetto luogo i suoi affari. Purtroppo, tale campo non è più visibile: alla fine dell’Ottocento venne privatizzato per la costruzione dei gasometri cittadini, ancora esistenti e così diversi rispetto al resto dell’estetica urbana di Venezia. 

Interno allo Squero Casal dei Servi.

Commercio di legname significa anche maestranze che fossero in grado di trattare questo materiale. I maestri d’ascia provenienti dalle nostre montagne si fecero ben presto conoscere nella Venezia di Quattro e Cinquecento. Grazie al loro sostrato culturale erano in grado di cogliere il meglio da ogni tipologia di legno e lavorarla di conseguenza. In una città costruita sull’acqua è evidente che servisse una gran quantità di imbarcazioni. Non solo i colossali scafi sfornati con cadenza quotidiana dall’Arsenale, ma anche e soprattutto quelli per la vita di tutti i giorni. Ecco che gli squeri tornano nel nostro discorso. Il già menzionato squero di San Trovaso fu sicuramente fondato da una famiglia di origine cadorina nel Seicento, come dimostra ancora adesso con la sua architettura. Con tutta probabilità questi maestri d’ascia vollero riproporre esteticamente una casa della loro valle natia, sebbene solo in parte. In mancanza di pietra, si industriarono come poterono, realizzando l’abitazione e i rustici in laterizio e legno. Il poggiolo è intagliato alla maniera montana e l’effetto di assonanza è oggi rinforzato, quando d’estate viene decorato con una pletora di gerani rossi. 

La vita degli squeri sopravvisse alla caduta della Repubblica ed è determinante comprendere come si trattasse di una realtà dinamica fino a non molti decenni fa. Pensando ad altre famiglie del Bellunese, è impossibile non citare i Casal, di stirpe zoldana, fautori di alcune delle realizzazioni più eccelse in fatto di gondole. Lo Squero Casal a Cannaregio non è sempre appartenuto a loro: entrò infatti nell’orbita della famiglia solamente a fine Ottocento. È qui che passa la storia della gondola, che acquisisce la sua forma definitiva con alcuni aggiustamenti del ferro di prua e della chiglia. È incredibile pensare che un’icona che noi reputiamo storica – la più celebre imbarcazione veneziana – divenga come la vediamo ora solamente in questa data.

Lo Squero Casal chiuse nel 1920, ma è tuttora possibile visitarlo grazie all’associazione Arzanà che, dopo averlo acquisito nel 1996, lo ha recuperato facendone la propria sede. 

[Il Cervo]


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