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Post 80 - Bartolomeo Gilardoni e lo ‘s-ciopo a vento’

 

Uno dei pochi s-ciope a vento sopravvissuti sino ad oggi. L'esemplare è conservato presso il
Museo etnografico
"Regole d'Ampezzo",
che si ringrazia per
la collaborazione.

Nel 1779 l’imperatore Giuseppe II ricevette un ignoto inventore, dal nome esotico per la corte viennese, proveniente da una lontana valle di confine dell’Impero. Tanto rimase entusiasta il sovrano dopo questo breve incontro, che ordinò di avviare immediatamente la produzione dell’oggetto che l’inventore aveva portato con sé, mantenendo però il massimo segreto. Ma chi era questo misterioso personaggio? E di quale incredibile ordigno si trattava?

Bartolomeo Gilardoni era nato a Gilardon d’Ampezzo nel 1744, dedicandosi alla professione di fabbro e orologiaio. Dotato di un ingegno particolarmente spiccato, non si limitava a riparare e costruire oggetti già noti, ma si spinse a percorrere anche strade inesplorate, divenendo lui stesso pioniere della scienza e della tecnica. Fra le sue creazioni, quelle che gli fecero guadagnare la fama – ma (spoiler) anche la morte – furono le sue ambiziosissime armi da fuoco, tanto sorprendenti da attirare l’attenzione dell’imperatore, che nel 1779 lo accolse appositamente a Vienna. 

Gilardoni portò con sé due dei suoi prototipi. Il primo era una carabina a pietra focaia dotata di due tubi, l’uno contenente dodici pallottole, il secondo altrettante cariche di polvere, che, se adeguatamente manovrata, permetteva di sparare dodici colpi di seguito. Un vantaggio notevole, considerato che le armi da fuoco dell’epoca richiedevano un lungo e laborioso processo per essere ricaricate ogni singola volta. L’invenzione che tuttavia riscosse il più grande successo fu lo s-ciopo a vento, uno dei primi modelli di fucile ad aria compressa, che permetteva di sparare in sequenza fino a venti colpi, senza produrre né rumore, né fumo. All’incredibile vantaggio dello sparo a ripetizione si aggiungeva anche quello della discrezione: in un’epoca di armi rumorose, lente, che con le loro esalazioni confondevano lo stesso tiratore, rappresentava davvero una potenziale rivoluzione.

L’anno stesso Gilardoni – chiamato in Austria anche Girardoni, Girandony, Giradoni e Schirandoni – si trasferì a Vienna con la moglie, i figli e l’assistente e compaesano Francesco Colli, e dietro ordine dell’imperatore iniziò a lavorare alla produzione di duemila s-ciope a vento. Il fucile si distingueva per il caricatore, integrato alla canna e fornito di venti pallottole, e il calcio, contenente il serbatoio dell’aria compressa, che, una volta scarico, poteva essere svitato e sostituito da uno pieno. Per ricaricarlo era necessario eseguire esattamente duemila colpi di stantuffo con la pompa apposita: non proprio una passeggiata, specie per un soldato nel pieno dei combattimenti. Per questo l’ampezzano inventò un apposito contagiri da applicare alla pompa, in modo da evitare ai tiratori l’inconveniente di perdere il conto.

Una ricostruzione dell'equipaggiamento dello s-ciopo a vento

A questo punto, lo s-ciopo Gilardoni si preparava a diventare il primo fucile militare a ripetizione del mondo, ma c’era un problema: come gestire un’arma così potente, innovativa e pericolosa? E poi, avrebbe davvero funzionato?

Lo scoppio delle ostilità con gli Ottomani nel 1787 era l’occasione perfetta per testare questo rivoluzionario ordigno, ma la corte viennese si spaccò: da una parte c’era chi sosteneva la necessità di assegnare gli esemplari ad un corpo specializzato, da poter impiegare nei momenti decisivi delle battaglie. Dall’altra c’era l’imperatore Giuseppe II, che temeva troppo il nuovo fucile: se il reparto avesse tradito, o fosse stato catturato, consegnando così centinaia di armi al nemico, sarebbe stato un disastro. Il sovrano era così spaventato dalla potenza dell’arma, che mise Francesco Colli, l’assistente di Gilardoni, sotto sorveglianza, vietandogli di costruirne ulteriori esemplari, e imponendo di assegnare i fucili esclusivamente ai soldati più fidati di ogni battaglione. 

Il successore di Giuseppe II, Leopoldo II, tentò di istituire un corpo specializzato a cui affidare la pericolosa arma, ma morì prima di riuscire a realizzare il suo intento. Ciononostante, gli s-ciope a vento continuarono ad essere utilizzati ed a dimostrare la loro terribile efficacia: durante la seconda Guerra di coalizione (1798-1802) il generale francese Mortier, che poi sarebbe diventato maresciallo dell’Impero, ordinò di impiccare chiunque ne fosse stato trovato in possesso. Mentre le sue creazioni mietevano vittime sui campi di battaglia, morì a cinquantasei anni lo stesso Bartolomeo Gilardoni, consumato dal lavoro dopo l’allontanamento dell’assistente Colli.

Lo stemma dei Gilardoni: secondo un documento, probabilmente spurio, sarebbe stato concesso alla famiglia nel 1740, assieme alla nobiltà.

Due anni dopo finì anche la storia dello s-ciopo a vento: non essendo mai stato usato in maniera massiccia non si era dimostrato un’arma decisiva; inoltre la delicatezza e complessità lo rendevano difficile da manovrare e sgradito ai soldati. Francesco II ordinò così il ritiro di tutti gli esemplari in dotazione all’esercito, mettendo fine alla parabola di questa invenzione. Forse troppo all’avanguardia per quei tempi, il fucile Gilardoni aveva tuttavia dimostrato tutto il suo potenziale, divenendo un oggetto temuto sia dagli austriaci che dai loro nemici: oggi resta come dimostrazione tangibile del genio del suo creatore.

[pgbandion]

FONTI


G. Richebuono, "Storia d'Ampezzo", La Cooperativa di Cortina, 2008

F. Mariotti, "Cortina nei secoli", Mursia, 1976


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