Passa ai contenuti principali

Post 65 - Il forte dimenticato

Vista del forte da sud. Foto tratta da Il fantasma della Val Cismon 1883 – 1917 di Luca Girotto.

Tre grandi cavità nel fianco della montagna: ecco quel che resta ora della Tagliata di Sant’Antonio, fortificazione italiana eretta sullo scorcio dell’Ottocento. Si trova nella Valle del Cismon, sotto le pareti rocciose a strapiombo nel tratto tra Fonzaso e Sovramonte.

Se non l'avete mai notata, è perché la zona non è facilmente visibile oggi. La viabilità è cambiata e quel tratto della via dello Schener si attraversa ora in una galleria. Tuttavia lungo la vecchia strada, sulla destra, sono visibili tre scassi con la sommità voltata e qua e là fa la sua comparsa qualche mattone. Cos’era questa struttura e perché era costruita proprio lì?

Come si presenta oggi il luogo del forte.

All'indomani della Terza Guerra d'Indipendenza (1866), lungo quello che era diventato il nuovo confine con l'Impero asburgico, l'Italia si premurò di creare un sistema difensivo in grado di arginare un'ipotetica invasione d’Oltralpe. È così che nacque una poderosa linea fortificata costituita da forti, tagliate e postazioni lungo l'Arco alpino, il tutto creato dal neonato Regno d'Italia con l’investimento di ingenti risorse sia umane che materiali. 

Vista del forte con il salto roccioso sottostante. Comune di Valdagno - fotografie storiche della grande guerra. Foto tratta da Il fantasma della Val Cismon 1883 – 1917 di Luca Girotto.

La tagliata del Covolo di Sant'Antonio faceva parte dell'opera difensiva creata nel settore Brenta-Cismon, che comprendeva un discreto numero di forti e tagliate nelle due rispettive vallate nonché nelle aree circostanti. Assieme a questa, furono progettate e costruite anche le tagliate della Scala, delle Fontanelle e Tombion, per controllare e sbarrare il transito nei fondovalle, rispettivamente della Val Cismon e della valle del Brenta, assicurando così una più stabile difesa dei confini.

Nel 1883 la Direzione del Genio Militare di Venezia emanò nella Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia l'apertura della gara di appalto per la costruzione della tagliata di Sant'Antonio, da costruirsi con lo stanziamento di 130.000 lire e in non più di quattrocento giorni.

L'obiettivo era molto chiaro: sbarrare il prima possibile la strada che da Fiera di Primiero portava a Fonzaso e lungo la quale si trovava la dogana austriaca di Pontet.

Fu così che, non senza una meticolosa azione di spionaggio da parte austriaca affidata ad infiltrati nella manodopera, venne eretta alla fine del secolo la tagliata del Covolo di Sant'Antonio (figura 1). Si trattava di un'imponente opera costruita a ridosso della parete rocciosa su di uno spiazzo creato allo scopo attraverso l’uso di diverse mine e delimitato dal torrente Cismon.

Disegno realizzato dalle spie austriache della tagliata di S. Antonio.
La tagliata comprendeva una costruzione difensiva a due piani dalla pianta a ferro di cavallo (lettera A in figura), un edificio ad un piano adibito ad alloggio e protetto dalla costruzione difensiva (B), nonché una cortina di mura fra il torrente e la parete rocciosa (C1-4). Il complesso era completato da due fossati profondi sei metri, che la strada oltrepassava attraverso due ponti. Ovviamente quanto descritto permetteva di controllare il transito della strada grazie anche al sistema di feritoie e soprattutto al contingente di guarnigione e agli armamenti a sua disposizione.

Vista da nord della tagliata di S. Antonio. Foto dell’archivio G. Todesco. Foto tratta da Il fantasma della Val Cismon 1883 – 1917 di Luca Girotto.

Benché si pensasse di dotare la tagliata di quattro cannoni da 120 mm e due da 42 mm a tiro rapido, all'inizio delle ostilità, nel 1915, essa poté contare solamente su tre pezzi da 42 mm e due mitragliatrici Gardner.

Ben presto, tuttavia, l’antiquata opera difensiva  — trovandosi in posizione arretrata rispetto alla linea del fronte, come la stragrande maggioranza delle opere fortificate erette a cavallo fra Otto e Novecento — venne in buona parte spogliata degli armamenti in dotazione, che vennero fatti convergere verso le prime linee. Fu dunque adibita a polveriera, restando tale fino al novembre del 1917.

La tagliata stradale, nella fase immediatamente successiva alla disfatta di Caporetto, riprese quindi la sua funzione originaria fino a che, sotto feroce attacco nemico e ormai difficilmente difendibile, verso le ore 22 dell’11 novembre 1917 il capitano Candoni, comandante della 153ª compagnia alpina del Battaglione Monte Arvenis, diede ordine ai suoi uomini e ad un drappello della 7ª compagnia minatori di far saltare in aria l'intera opera fortificata, cancellandola definitivamente dalla vallata. Così facendo si riuscì a rallentare l’avanzata delle armate austro ungariche e fu possibile la ritirata delle truppe italiane verso il Monte Grappa, sul quale la guerra si sarebbe da quel momento abbattuta con ferocia.

[Trinceo, MattIki]

Commenti

Post popolari in questo blog

Post 38 – Il Sas del Diàol, a Facen

  Oggi vi parliamo di un misterioso masso inciso!  Si chiama “ Sas di Pirulava ” o più notoriamente “ Sas del Diaol ”, ed è stato scoperto da Candido Greco nel 1977, studioso che ci ha fornito la prima descrizione delle incisioni presenti. Il masso è di dimensioni di circa 90 x 110 cm ed è leggibile solo nella faccia orientata verso sud-est. Presenta una decina di segni a forma di croce, di cui tre che poggiano su dei cerchi contenenti altre croci di dimensioni minori e quella che sembra una lettera “A”. Greco interpreta le iscrizioni come simboli preromani, individuando dei numeri etruschi dei quali i Reti si sarebbero serviti per misurare le libbre di fieno tagliato in loco. Inoltre altri simboli parrebbero legati al culto di Mitra.  Nelle note del testo, inoltre, vengono presentati a titolo esemplificativo e comparativo ulteriori massi che riportano croci incise, ma dotati anche di coppelle. Un appunto: nel testo si fa riferimento a questo masso come quello che secondo la leggenda s

Post 147 - La chiesa della discordia

  In alcuni post precedenti ( post 123 e 124 ) abbiamo ricostruito la storia delle frane dell’Antelao che hanno coinvolto Borca e San Vito. Durante la frana del 7 luglio 1737, stando alle memorie del pievano Bartolomeo Zambelli, il primo edificio a restar sotterrato fu la chiesa di San Canciano che sorgeva sul confine tra Borca e San Vito, chiesa che fu in seguito ricostruita accanto all’antica Strada regia ( post 101 e 102 ), nel territorio di San Vito, ad una novantina di metri dal confine. Ne nacque molto tempo dopo una contesa, di cui vi parleremo oggi. La storia della chiesa di San Canciano è assai antica. Vi è infatti un atto notarile datato 1418 rogato dal notaio Bartolomeo fu ser Ungaro in cui il testatore lega due prati in val di Tiera al lume di San Canciano: in altre parole si lasciava per testamento due prati alla suddetta chiesa perché col ricavato si mantenesse un lume acceso per il santo [1]. Dai documenti delle visite pastorali del 1604 conservati nell’Archivio della Cu

Post 104 – Il colle delle ville. Prima parte.

  La nostra provincia è principalmente nota (se davvero è nota per qualcosa) per le sue splendide catene montuose. Meno noti potrebbero essere invece gli intriganti paesaggi rurali della Valbelluna, valle collocata tra le Prealpi e le Dolomiti e percorsa in quasi tutta la sua lunghezza dal fiume Piave, alimentato da numerosi affluenti che scendono dai monti circostanti. Al di là di centri come Feltre, Sedico, Trichiana o Belluno stessa, caratterizzati dai tipici processi di urbanizzazione degli ultimi decenni, questa porzione di territorio è punteggiata da centri minori, fattorie, case rurali e ville venete.  Nella zona circoscritta che prendiamo in considerazione in questo post, un colle collocato a nord-est di Feltre, i segni di un passato rurale sono tuttora ben visibili nella campagna delle frazioni Vellai e Cart e delle località loro circostanti. Uno degli elementi più suggestivi di questo paesaggio, facilmente idealizzabile nel ricordo dei “bei tempi andati” (e forse mai esistiti