Nelle società preindustriali l’approvvigionamento alimentare è un problema costante e mai risolto definitivamente, nessuna meraviglia. Nel Bellunese, territorio montuoso, freddo, dai terreni poco fertili, la questione si faceva ancor più stringente. Ancor prima che sul piano qualitativo (di varietà e completezza della dieta) il problema si poneva sul pianto quantitativo, ovvero dell’apporto calorico giornaliero di sostentamento: per questo i due prodotti da cui dipendeva la sopravvivenza erano i cereali e, in misura minore, il vino.
Leggiamo le parole con cui nel 1609 il Rettore Francesco Zen riassumeva al Senato veneziano la situazione sotto il suo mandato: «[La città di Belluno] ha nondimeno li doi terzi di questo suo distretto (territorio) inutili, et sterili non producendo quel paese biave per il necessario bisogno d’otto mesi dell’anno…». E analoghe affermazioni troviamo in numerose relazioni di altri Rettori bellunesi e feltrini, con poca differenza: alcuni affermano la produzione interna di cereali (“biave” appunto) bastare per sei mesi, altri solamente per quattro. Il resto andava importato.
Già gli Statuti medievali precedenti al dominio veneziano portano traccia del problema della carenza alimentare cronica, con il divieto assoluto di esportare cereali. Ma una misura più radicale venne presa nel 1426 con l’istituzione del Fondaco delle biade (analogo provvedimento si adottò a Feltre). Si trattava di un istituzione eccezionale dotata di un capitale di diverse migliaia di ducati che aveva sede nell’omonimo edificio adiacente alle mura, presso Porta Dojona, che fu abbattuto per fare spazio al Teatro comunale nel 1833. Il suo scopo era quello di acquistare e immagazzinare grani sui mercati esteri da vendere a prezzo basso o addirittura a credito nei momenti in cui la penuria era tale e i prezzi erano così alti da essere inaccessibili per la popolazione più povera.
La carenza cronica di cereali ebbe relativa soluzione solo con l’introduzione del granoturco. Nei terreni del Bellunese il mais certo garantiva una resa per ettaro più alta dei cereali, ma a che prezzo?
La coltivazione esclusiva di questa pianta nel tentativo di aumentare la produzione agricola portò a un impoverimento drastico della dieta contadina. Inutile dilungarsi sulla questione della Pellagra, che tutti conoscono. Ma questa malattia, causata dalla carenza di vitamina B3, non insorgeva con la dieta basata sui cereali autoctoni, perché questi ultimi sono piuttosto ricchi della vitamina in questione, che nel granoturco pur essendo presente non è assimilabile se non dopo trattamento della farina con calce, come era (ed è tutt’ora) pratica nelle zone di origine della coltura del mais: l’America Centrale.
[Nic]
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