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Post 58 – Un pugnale eneolitico scomparso


La storia che vi portiamo oggi è poco o quasi per nulla nota al grande pubblico, ma d'altronde questa è proprio la mission del nostro progetto.


Ci capita questa volta — e ci ricapiterà in futuro — di toccare fatti “di cronaca” che hanno interessato sia beni archeologici sia artistici della nostra provincia, ovvero sparizioni, vendite nel mercato nero e purtroppo anche distruzioni. Questa volta il nostro intervento non ha intento polemico, in quanto i fatti che vi racconteremo sono avvenuti in un epoca in cui non vigevano ancora le norme odierne a tutela dei Beni Culturali, e il reperto in questione percorse vie assolutamente legali.


Vista delle Valle di Lamen dal sentiero dei covoli.

I nostri punti di partenza sono due: la Valle di Lamen come coordinata geografica, e l'unica fonte disponibile: un articolo della dott.ssa Luisa Alpago-Novello del 1961. Il luogo è altrimenti notissimo per i ripari sotto roccia (o covoli), ma noi tratteremo del ritrovamento di un pugnale eneolitico avvenuto nel 1927.


La scoperta venne effettuata da Santo Balén, mentre era impegnato nella cavatura di sabbia per la realizzazione di una abitazione in valle. Non conosciamo il punto preciso del ritrovamento. Abbiamo pochi indizi: sappiamo soltanto che si collocava a quota 750 m sul livello del mare, nell'alta Valle di Lamen, lungo le pendici nord-occidentali del monte Pafagai.


Pugnale rinvenuto da Santo Balén in Val di Lamen

Il reperto consisteva in un pugnale in selce (Alpago-Novello la definisce cuspide, ma è scorretto) foliato a foglia di lauro di 11 cm di lunghezza per 4 cm di larghezza. La definizione “foliato”, non così perspicua per un non tecnico, sta a significare che la tecnica di scheggiatura produce delle schegge di scarto molto sottili ed estese, che va cioè ad asportare schegge che coprono metà o più del manufatto. Inoltre, risulta finemente lavorata nei bordi, rendendoli taglienti.


Ma, definizioni a parte, in cosa consiste il suo valore? In primo luogo va detto che si tratta di uno dei pochi pugnali neo/eneolitici giunti fino a noi nel Bellunese, e di questo esiguo gruppo risulta essere uno dei pochissimi integri e uno dei pochissimi con questo grado di lavorazione, seppure non fosse finito. Inoltre, ci racconta che nella valle di Lamen circolavano persone di un certo rilievo: il pugnale è un oggetto che possiamo definire d’élite all’epoca. Come abbiamo scritto in precedenza la sua realizzazione non è semplice, e un pugnale non era di certo nel kit standard di un neolitico o di un eneolitico. Pensiamo ad Ötzi: anche lui, dotato di un pugnale, doveva essere un personaggio di alto rango (il suo, più piccolo, misura 13 centimetri complessivi di lama in selce e immanicatura in legno).


Confronto tra il pugnale di Ötzi (a sinistra) e quello della Valle di Mane (a destra)

Ora vi starete chiedendo cosa se ne sia fatto Santo Balen di questo reperto. Si potrebbe supporre che l'abbia consegnato al museo e poi la dott.ssa Luisa l'abbia studiato nel 1960, e invece la storia si fa indagine. Santo deve aver venduto il reperto a qualche antiquario, cosa legalmente permessa nei primi anni del Novecento. Annotiamo che solo nel 1939 venne approvata la Legge Bottai (n 1089/1939) con valore non retroattivo, e nel 1964, la Commissione Franceschini cercò di ben definire cosa si debba intendere per “bene culturale”. 

Negli anni '50 del secolo scorso, come ci riporta Luisa Alpago-Novello, il reperto feltrino risultava in proprietà al signor Roberto Papi di Firenze.


Chi era Roberto Papi? In realtà è un gran mistero. Ma, facendo delle ricerche anche abbastanza superficiali, si scopre essere un personaggio che si muoveva negli ambienti culturali toscani della prima metà del Novecento, in particolare come mercante d'arte, e sposato con Vittoria Contini-Bonacossi, nobildonna fiorentina, la cui famiglia si occupava di commercio d'arte. Insomma un ambiente dove beni culturali venivano venduti regolarmente, e come scritto in precedenza, i reperti trovati prima della Legge Bottai e al testo del 1964 prodotto dalla Commissione Franceschini, se non confluiscono in qualche museo, tutt'ora possono essere liberamente detenuti.


Ma che fine ha fatto questo reperto? Sarebbe bello raccontarvi un lieto fine, ma ad oggi non si sa quale sia stato il suo destino. Le collezioni di Roberto Papi e Vittoria Contini-Bonacossi sono state smembrate, parte degli oggetti sono confluiti agli Uffizi e parte sono andati ad un altro ramo della famiglia Contini-Bonacossi. Non possiamo sapere se questo manufatto sia mai stato venduto o se non sia finito in qualche scatola dimenticato da tutti, compresi i suoi inconsapevoli proprietari.


[MattIki]

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