Il Veneto ha storicamente avuto una discreta attività mineraria. Considerando gli attuali confini della regione, le zone più produttive si concentrano attorno alle due principali mineralizzazioni dell’area: la linea Primiero-Comelico nel Bellunese e un piccolo quadrilatero nelle Prealpi dell’alto Vicentino; grandi eccezioni esterne a questi nuclei sono le miniere del Fursìl presso Colle s. Lucia e le miniere ferrifere in Valpolicella. Non si può escludere un’attività di sfruttamento già in età preistorica, ma le prime notizie certe riguardanti l’attività risalgono ai secoli XII-XIII, e, andando a confrontare le date di attività delle miniere, il periodo più produttivo risulta essere quello tra XV e XVII secolo.Illustrazione dal De re metallica di Agricola (1556)
Occorre premettere che i giacimenti metalliferi nel nostro territorio sono tendenzialmente di scarsa portata e poco produttivi, e allo stesso tempo numerosi e sparsi in un areale assai ampio, impervio e talvolta difficilmente percorribile: questo comporta che la regione veneta alpina non sia mai diventata un importante distretto minerario come quelli dell’Europa centrale o della regione scandinava. Una situazione così difficile può portare, specialmente nelle zone più isolate, all’impiego di soluzioni alternative alla prassi in ambito tecnologico, logistico e dei trasporti. L’alta quota rende talvolta impossibile costruire gli impianti di lavorazione e fusione dei minerali direttamente all’esterno delle miniere come accade di norma, e dunque occorre organizzare il trasporto presso i forni più vicini. È questo il caso delle miniere del Fursìl, il cui minerale veniva portato ai forni dello Zoldano e di Borca di Cadore, dove erano concentrati combustibile e manodopera specializzata. In generale però la prassi prevedeva che il minerale non viaggiasse molto prima di essere lavorato, e fu tra i secoli XIX e XX, con l’obsolescenza delle tecnologie impiegate nella montagna, che il minerale fu portato negli impianti industriali di pianura.
Oltre alle miniere e gli impianti di Val Imperina nel Sottochiusa agordino, di cui vi abbiamo già parlato, i siti principali di coltura e produzione sono lo Zoldano, che spicca per la siderurgia ma produce anche piombo, il distretto minerario di Auronzo, con produzione piombo-zincifera, la val del Mis, con la miniera di mercurio di Vallalta, e infine la miniera di Salafossa nel Comelico inferiore, sfrutta brevemente nel XX secolo. A corredo dei pozzi principali, all’esterno dei quali rimangono tuttora delle strutture che testimoniano l’attività ivi presente, sono state attive una serie di altre buse più ridotte, sempre in corrispondenza delle mineralizzazioni principali, che lasciano meno traccia e delle quali talvolta si perde memoria.
Miniera dei Vauz, unica visitabile internamente tra quelle del Fursìl. Foto presa da Dolomites Maadness
All’esperienza siderurgica dello Zoldano, la cui rete oltre la Val di Zoldo comprende anche il Cadore occidentale ed Agordo Soprachiusa vale la pena dedicare in futuro uno spazio a parte. Anticipiamo che su tutto il territorio si potevano trovare forni, ferriere e fusinele, sintomo di un’ingente presenza di minerali ferriferi in zona e di una tradizione ben consolidata che ha inizio già dal XII secolo.
Se ci concentriamo sulla lavorazione del minerale in età preindustriale, la si può dividere in tre parti. Prima la preparazione, che prevede frantumazione, lavaggio e arrostimento del minerale. Poi seguono le fusioni, che sono il processo che permette di ottenere il metallo vero e proprio e di commercializzarlo. Infine, il lavoro minuto, che prevede battitura e forgiatura. Col tempo si venne a formare una rete di piccole fucine per la produzione di oggetti in ferro e rame, tipicamente chiodi, armi bianche e attrezzi per la vita quotidiana. Comprendevano maglio azionato da ruota ad acqua, incudine, focolare ed impianto di ventilazione (prima a mantice, poi a tromba idroeolica), lavorando prima i metalli e poi, col venir meno della produzione, rifondendo vecchi oggetti. Sopravvivono ora principalmente nella campagna di pianura, più che dalle nostre parti. Perché rimangono poche tracce di questo passato? Il settore entra in crisi già qualche secolo fa e il resto hanno fatto riuso e abbandono. Inoltre, dal punto di vista archeologico non è sempre facile indagare le strutture dei periodi più antichi dal momento che spesso sono state ricoperte da quelle più recenti.
Fonti e bibliografia
- Laveder, F., Antiche miniere nell’Alta Valle del Mis, «Archivio storico di Belluno, Feltre e Cadore», LXXXI, n. 350, pp. 169-204;
- Vergani, R., Le attività estrattive: miniere e cave. La metallurgia e la piccola meccanica tradizionale, in Archeologia industriale del Veneto, a c. di F. Mancuso, Venezia e Cinisello Balsamo (MI), Silvana Editoriale, 1990, pp. 61-77;
- Vergani, R. Miniere e Società nella montagna del passato: Alpi venete, secoli XIII -XIX, Sommacampagna, Cierre, 2003.
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