Si parla spesso dei grandi fatti storici: la Dedizione a Venezia del 1420, la Guerra di Cambrai e l’incendio di Feltre; ma non altrettanto della vita quotidiana dei secoli scorsi. Che cosa succedeva a Feltre i giorni che non era impegnata a prendere fuoco da cima a fondo? Come funzionava una città tra medioevo ed età moderna? Com’era amministrata Belluno? Che potere aveva sul proprio territorio? Con questa rubrica vorremmo darvene un assaggio qua e là.
Veniamo alle ‘legne’, e partiamo da una piccola premessa. In epoca veneziana il territorio di Belluno era suddiviso in dodici circoscrizioni: i due capitanati di Agordo e Zoldo e le Pievi (in senso amministrativo, non religioso) del Territorio Basso: Alpago, Castion, Frusseda, Lavazzo, Limana, Mier, Oltrardo, Pedemonte, San Felice, Sedico.
Al centro di questa rete amministrativa si trovava la città, coi suoi privilegi e la sua posizione di controllo sul territorio, al quale imponeva non solo le proprie leggi e la propria giurisdizione, ma anche numerose corvées e oneri: tra queste vigeva l’obbligo per gli abitanti del Contado di condurre ogni giorno in città un certo numero di carri di legna a prezzo fisso (e modesto) per tutti i mesi da novembre a giugno, a loro spese e incomodo.
«Essendosi appellati li regolieri da Briban della pieve de Sedego […] in materia di menar legne a vender in questa cità recusando quelli condur dette legne contra la forma delli Statuti…» Così esordisce nel 1557 una deliberazione del Consiglio Maggiore di Belluno, che ci porta dritti nel mezzo delle contese che periodicamente si riaccendevano in materia tra le comunità del Contado e la città, in un via-vai di portavoce e incaricati che si recavano presso le magistrature veneziane, da una parte per reclamare il rispetto degli antichi Statuti, dall’altra per richiedere un alleggerimento del gravoso onere. Ma vediamo come continua questa parte (termine dell’epoca per “deliberazione”):
«…L’anderà parte (sarà deciso) che sia scritto al spettabile messer Priamo Sargnano orator di questa magnifica Comunità in Venetia ne dum (? nonché) anco allo eccellente messer Giambattista Leonelli avvocato di quella, che con ogni lor studio vogliano deffender detta causa contra detti da Briban…» e più sotto spiegando «perché detti contadini sogliono exagerrarsi» nel lamentare quanto sia gravoso questo obbligo.
Quello che il Consiglio dei nobili vuole tenersi ben stretto è uno dei tanti privilegi goduti dagli abitanti della città sui bellunesi del contado (ma identici rapporti e imposizioni vigevano anche nel Distretto di Feltre). Questi ultimi erano costretti anche a approvvigionare il Rettore di foraggio per i cavalli ad esempio, e a tenere il mercato cittadino ben rifornito di prodotti agricoli, in primis di formaggio. Ricadevano poi su di loro una serie di corvées, come la manutenzione di strade e ponti, o lo sgombero della neve delle vie di Belluno.
Episodi come questo mostrano chiaramente come le società di antico regime fossero regolate da dinamiche molto distanti dal nostro modo di pensare, uno fra tutti l’esempio appena visto delle differenze sancite per legge tra chi risiedeva dentro le mura e chi risiedeva fuori: due pesi e due misure per valutare diritti, doveri, fiscalità.
Erano davvero soliti «exaggerare» i territoriali, quando lamentavano di essere schiacciati dal peso di questi oneri? Teniamo conto che, anche limitandoci all’onere della fornitura di legna, la questione comportava varie difficoltà. Innanzitutto consideriamo che alcuni pievani dovevano percorrere un tragitto piuttosto lungo per raggiungere Belluno (pensiamo a paesi come Castellavazzo o agli abitanti della pieve d’Alpago ad esempio), che richiedeva una giornata o più per essere percorso: tutto tempo sottratto ai lavori agricoli. In secondo luogo, la cronica carenza alimentare aveva portato al continuo disboscamento per la messa a coltura o l’estensione del pascolo, al punto che alcune pievi della Valbelluna erano costrette ad acquistare altrove la legna per questa condotta obbligatoria (è il caso proprio della Pieve di Sedico). Si aggiungeva a questo la durezza con cui la città infieriva in materia, inasprendo la legislazione. Già sussisteva un rimborso di cinque soldi per ogni carro non consegnato, che talvolta i Territoriali accettavano come il male minore. Vedremo ora come il Rettore Marco Antonio Miani deliberò che non bastasse pagare questo risarcimento ma bisognasse condurre comunque in aggiunta la legna mancante.
A tal proposito, dopo aver ascoltato la campana dei Cittadini, ascoltiamo ora quella dei Territoriali di Frusseda (Ponte nelle Alpi) e San Felice, che si rivolsero in supplica al Doge: «Ci è anco imposta una insuportabilissima, anci (anzi) si può dir imposibil gravezza che è il condur insieme con l’altre pieve per mesi sié ogni giorno carra numero 100 di legne alla piazza a vender, quale bisogna andar a pigliar tanto lontano, che uno huomo consuma doi giornate con il carro con viaggio di miglia 24 et più […], et se manchiamo convenimo (siamo costretti) pagar soldi cinque per carro, quali vanno in borsa ad uno scrivano a ciò deputato, ma oltra ciò, ultimamente in virtù di mandati penali di quel clarissimo Rettor siamo astretti oltra li soldi cinque condur anco le legne; il che è cosa impossibile. Onde riverentemente supplichiamo Vostra Serenità che havuto quelle informationi che li pareranno, debbano per giustitia et pietà liberar queste due pieve da questo gravissimo peso […], per esser li boschi lontani da noi, et quelli che eran vicini ridoti a cultura; et così agiutati (aiutati) dalla bontà di Vostra Serenità conservaremo la vita…»
[Nic]
Fonti:
Archivio Storico Comunale di Belluno, Fondo museo, Libri delle Parti. Le parti trascritte si trovano rispettivamente nel Libro P (1551-1558), ms. 146, c. 224v; e nel Libro R (1565-1576), ms. 148, cc. 279v-280r.
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