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Post 47 - Bus de la Lum

Rilievo Parziale, da Catasto Grotte FVG

Il Bus de la Lum è un inghiottitoio della profondità di 180 metri situato sulla piana del Cansiglio all’interno del territorio del Comune di Caneva (Pordenone). 

Il toponimo Bus de la Lum, Buco della luce, deriva dal fatto che un tempo dal fondo della voragine proveniva un bagliore. Nell’antichità l’inghiottitoio veniva utilizzato, a volte, per gettare le carcasse di animali che decomponendosi generavano dei gas che, entrando in contatto con l’aria, si infiammavano dando vita ai fuochi fatui. Questo fenomeno naturale ha fatto sì che il Bus de la Lum sia stato considerato per lungo tempo un luogo misterioso, oggetto di superstizione popolare e sia stato ritenuto una porta di accesso alle profondità della Terra da cui provenivano energie magiche e potenti. Gli antichi abitanti della zona credevano che il Bus de la Lum fosse abitato dalle Anguane o Anduane, figure della mitologia alpina molto diffuse nella tradizione carnica, friulana e ladina dolomitica. Le streghe del Bus de la Lum sono descritte con un aspetto terrificante con dei chiodi arrugginiti per capelli e denti dalle lunghe zanne sporgenti. Le streghe, secondo la credenza popolare, quando si riunivano, accendevano un fuoco all’imboccatura del pozzo, rapivano i bambini rimasti soli nel bosco per portarli nel Bus de la Lum, ucciderli e nutrirsene.

Durante la guerra di Liberazione, il Cansiglio è teatro di lotta partigiana. L'Altopiano, per la conformazione geomorfologia del territorio, è perfetto per i nascondigli, gli occultamenti, permette il movimento di piccoli gruppi di soldati senza rischiare di essere intercettati e non è di facile esplorazione da parte di nemici che non conoscono il posto. Una sola strada collegava l’altopiano con i due versanti, quello bellunese e quello trevigiano.  La lotta partigiana in Cansiglio e nelle zone limitrofe è non solo una lotta di liberazione contro i fascisti, ma anche contro i tedeschi che avevano annesso la provincia di Belluno all’Alpenvorland.

I primi combattenti si radunano in Cansiglio già nella primavera del 1944 e provengono da entrambe le vallate confinanti, quella dell’Alpago e quella del Vittoriese.

Discesa Ingresso Principale, da Scintilena

In Alpago, immediatamente dopo l’8 settembre 1943 si formano dei gruppi eterogenei e spontanei composti da giovani che provengono tutti da famiglie contadine. Nella primavera del 1944, dopo una serie di incontri tenuti allo scopo di unire i vari gruppi della zona, nasce il Battaglione “Fratelli Bandiera” composto principalmente da giovani del luogo con scarsa preparazione politica. Nel frattempo si costituisce in provincia di Belluno il distaccamento “Boscarin” che nel gennaio prenderà il nome di “Tino Ferdiani”. Il 23-24 marzo 1944 il distaccamento si stabilisce in Cansiglio, da dove compie le sue azioni offensive, in particolare nel territorio dell’Alpago. 


Sul versante vittoriese del Cansiglio, il primo gruppo di combattenti proviene da Montaner (Treviso). Giovanbattista Bitto, sottotenente degli alpini tornato a piedi dalla Jugoslavia dopo l’8 settembre, decide di radunare i giovani combattenti della zona e di nascondersi con poche armi in località Col Alt per sfuggire alla cattura dei tedeschi. I rispettivi comandanti si incontrano più volte e i primi giorni di maggio del 1944 il Battaglione autonomo “Vittorio Veneto” di Giovanbattista Bitto detto “Pagnoca” diventa il 4° Battaglione del Distaccamento “Ferdiani”.

Dopo la fine della seconda guerra mondiale intorno al Bus de la Lum cominciano a circolare molte storie che vedevano i partigiani colpevoli di usato l’inghiottitoio per uccidere i nemici, sia fascisti sia tedeschi.

Il 19-20 marzo 1949 avviene la prima spedizione nel Bus de la Lum dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Gli speleologi appartenenti al Gruppo Triestino Speleologi scendono nell’inghiottitoio nel tentativo di raggiungere il fondo ma l’accesso è bloccato da un ammasso di detriti. Qui essi ritrovano delle bombe inesplose e dei cadaveri coperti di ghiaccio. Da una prima stima pare che ci siano quindici corpi non identificabili perché il cranio della maggior parte di essi era andato distrutto nella caduta e dei vestiti era rimasto solo qualche brandello irriconoscibile.
Salone principale, Gruppo Grotte Treviso

Tra il 19 e il 23 aprile del 1950 lo stesso gruppo di speleologi triestini viene incaricato dal Commissariato Generale per le Onoranze Funebri ai caduti di Guerra del ministero della Difesa – Esercito, di eseguire una spedizione speleologica nel Bus de la Lum con lo scopo di recuperare le salme precedentemente individuate.

«Complessivamente furono recuperati i resti di 28 salme, 13 delle quali quasi al completo. L’identificazione, date le condizioni di rinvenimento, risultò assolutamente impossibile.» 
Nel documento si parla di 28 salme, in realtà 28 erano le cassette in cui sono stati depositati i resti. Non è mai stato possibile attribuire i resti alle varie salme.

La notizia di questi ritrovamenti viene riportata su diversi giornali che, probabilmente, nel tentativo di generare clamore, riportano delle informazioni non verificate. Con il tempo la storia si ingigantisce sempre di più e si parla prima di centinaia, poi di migliaia di cadaveri nel Bus de la Lum.

Due fattori aiutano l’accrescere delle teorie e notizie intorno al Bus de la Lum: nella prima esplorazione nel 1924 la profondità era stata misurata a 225 metri (la profondità reale è di 180 metri) e gli speleologi friulani non avevano potuto raggiungere il fondo a causa di una frana. 

Questi due fattori hanno permesso, per molto tempo di lasciare spazio a supposizioni e false notizie.
Nella seconda metà degli anni Ottanta la questione del Bus de la Lum viene riaperta. Una figura che gioca un ruolo fondamentale in tutto questo è Don Corinno Mares, parroco di Tambre dal 1984 al 1995.
Il parroco infatti dedicherà una particolare attenzione alla questione. Il 29 agosto 1987 decide di far erigere presso il Bus de la Lum una croce alta 3 metri e mezzo, di ferro con le parole incise sul traverso “Silentes Loquimur” la croce viene benedetta, e don Mares celebra la prima messa in onore dei caduti.
Il 10 marzo 1989 la Biblioteca civica di Vittorio Veneto ospita una conferenza stampa delle associazioni partigiane dedicato alla questione del Bus de la Lum a cui partecipa anche lo studioso che si stava occupando della questione a suo tempo: Emilio Sarzi Amadè.

Emilio Sarzi Amadè, originario di Mantova, combatte la guerra di liberazione sulle montagne bellunesi nel distaccamento “Tino Fergnani”, e nel 1977 pubblicherà “Polenta e Sassi”, un romanzo autobiografico scritto immediatamente dopo la Liberazione che racconta la sua esperienza di partigiano. Dopo la guerra lavorerà per “l’Unità” e si occuperà di cronaca estera in particolare nei territori dell’Asia. Finita la sua carriera giornalistica nei primi anni ‘80, comincia ad occuparsi di studi di Resistenza e collabora anche con l’Istituto Storico Bellunese per la Resistenza e l’Età Contemporanea. Nella seconda metà degli anni ‘80 comincia a occuparsi della questione del Bus de la Lum, ma non riuscirà mai a portare a termine la sua ricerca perché muore il 15 marzo del 1989.

Nella conferenza di Vittorio Veneto, Sarzi Amadè dichiara che, nonostante non consideri terminata la propria ricerca, sostiene di poter fissare tre punti fermi sulla base delle documentazioni e delle testimonianze da lui analizzate: 
  1. «In Cansiglio non c’è stata nessuna strage che voglia essere oggi dimenticata» 
  2. «Non ci sono stati episodi di atrocità deliberata come quelli che oggi vengono descritti dai vari giornali.» 
  3. «Non c’è stato nessun caso di donna incinta buttata giù nel Bus de la Lum»

Con le testimonianze raccolte , Emilio Sarzi Amadè cerca di ricostruire il numero delle vittime e la loro identità. Le ricostruzioni di Amadè vengono ribadite da Pier Paolo Brescacin che, nel suo libro “Il sangue che abbiamo dimenticato”, vol.1, cercando di identificare le vittime del Bus de la Lum, scrive: «Esse sono innanzitutto i dieci soldati repubblicani appartenenti al Presidio del Carron di Fregona catturati, di cui abbiamo fornito precedentemente i nominativi , catturati il 25 luglio 1944 dai partigiani della “Cairoli” e successivamente processati, condannati, fucilati e sepolti nell’anfratto a cura del Comando Divisione. A costoro va aggiunto il sottotenente del 9° Battaglione Alpini della Guardia Costiera di Treviso Massimo Polettini, che sul finire del mese di luglio 1944 venne processato e fucilato presso il Palazzo, e il suo cadavere fu gettato nel pozzo.»

Nel 1992 ci sono stati nuovi ritrovamenti, ma non si può con certezza stabilire se i resti appartengano ad altri corpi o facciano parte di resti recuperati nel 1950 quando infatti gli scheletri rinvenuti non erano completi.

I resti recuperati nelle varie spedizioni speleologiche non sono stati mai identificati, date le condizioni di ritrovamento. Grazie alle ricerche eseguite da Emilio Sarzi Amadè e alle testimonianze da lui raccolte si è potuto ricostruire l'identità delle vittime. Questi risultati sono stati confermati anche dalle ricerche di Pier Paolo Brescacin.

Nel 2014 un gruppo di speleologi del pordenonese riesce finalmente a superare la frana che ostruiva l’accesso alla caverna attigua all’inghiottitoio. Riesce quindi ad accedere al Salone della Lanterna e qui ha ritrovato una dozzina di sacchi di immondizia. Con questa spedizione si può considerare il Bus de la Lum completamente riscoperto.

Collaborazione con @aurorafaghe [Faghe]

Foto 1: Rilievo Parziale, da Catasto Grotte FVG

Foto 2: Discesa Ingresso Principale, da Scintilena

Foto 3: Salone principale, Gruppo Grotte Treviso 

 

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