Dopo l’occupazione nazista nel settembre del 1943, la provincia di Belluno venne separata dalla Repubblica Sociale Italiana. Venne creata una vera e propria sfera di influenza tedesca chiamata ‘Alpenvorland’, annessa direttamente alla Germania nazista. Nello stesso periodo peraltro la Repubblica Sociale Italiana prese in considerazione di spostare la sede amministrativa del nuovo governo proprio a Belluno (ci torneremo con un articolo in futuro), opzione successivamente scartata in favore di Salò. Da quel momento in provincia iniziarono a pullulare movimenti antitedeschi, e con essi iniziarono le esperienze partigiane di chi non volle sottostare al giogo nazista. Anche in questo contesto, fatto che fu comune un po’ in tutta la Resistenza italiana, furono gli ex ufficiali dell’esercito sbandato a disciplinare i giovani ai futuri combattimenti partigiani, dando così forma ai “Nuclei Volontari della Libertà”. Uno dei punti di riferimento nelle Vette Feltrine era proprio Àune, una piccol
Nel giugno del 1944 presso il carcere di Belluno, a Baldenich, si compiva una delle più importanti operazioni della Resistenza bellunese, destinata a passare alla storia come la “Beffa di Baldenich”, durante la quale le forze partigiane riuscirono a liberare una settantina di prigionieri politici senza sparare un singolo colpo. Gli 80 anni dal giorno in cui venne condotta, il 16 giugno 1944, cadono proprio oggi. Foto 1: Profilo di Mariano Mandolesi, tratto da un manifesto realizzato da Eronda nel 1945 che riproduce i volti dei membri del Comando Piazza di Belluno. In quel mese del ‘44, presso il carcere di Baldenich si trovavano infatti numerosi prigionieri politici incarcerati perché coinvolti nella lotta partigiana, chi come oppositore politico o collaboratore, chi come combattente in armi nelle formazioni partigiane. Fra questi ultimi c’era Francesco Pesce (nome di battaglia “Milo”), ex capitano dell’esercito e un prigioniero importantissimo, perché responsabile del comando militare