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Post 149 - Il dantino che cantò in rima per la sua gente



Antonio Doriguzzi Rossin. Da “campione delle autonomie” a letterato illuminato

Antonio Doriguzzi Rossin (1788-1856), conosciuto alle cronache anche come il Rossin, fu un poeta originario del Comelico, precisamente di Danta di Cadore. L’attività poetica non fu mai prevalente nella sua vita. Egli, infatti, componeva le sue opere durante le pause dalla sua occupazione principale, il boscaiolo. Oltre a questo, sviluppò capacità rilevanti anche nel settore agricolo, indispensabile per la sopravvivenza nelle aree rurali comelicesi di inizio Ottocento. Le informazioni sulla sua vita sono poche: si sa per certo, grazie ai documenti conservati all’anagrafe, che nacque il 27 settembre 1788, si sposò con Domenica Menia il 22 aprile 1816 ed ebbero insieme ben 11 figli. Le condizioni di estrema povertà nelle quali viveva la famiglia Rossin, però, non permisero la sopravvivenza di gran parte dei figli: solo 4, infatti, risultano ancora vivi nel 1840, anno nel quale nacque la sua ultima figlia, Marianna. 


Il poeta Rossin

Tra le pieghe della vita in montagna a cavallo tra Settecento e Ottocento, Rossin non si diede mai per vinto e riuscì a costruirsi un’istruzione che pochi a quel tempo potevano vantare. Coltivò fin dalla giovane età la passione per le lettere: lo sappiamo grazie alle testimonianze dei grandi autori del suo tempo, come Antonio Ronzon, che nelle sue opere ricorda il poeta del Comelico come uno dei più illustri e acculturati dantini del tempo. Rossin formò la sua cultura inizialmente da autodidatta, leggendo le opere di Dante, Petrarca e soprattutto di Ariosto e Tasso, come appare evidente dalle influenze presenti nei suoi testi. Fu proprio il Tasso ad ispirare l’opera principale del poeta -Il Carlo Leopoldo, ossia il Trionfo della Religione- poema epico-cavalleresco scritto in ottava rima per celebrare le vittorie degli austriaci durante l’assedio di Vienna da parte dei Turchi nel 1682. La sua formazione culturale ebbe compimento sotto l’egida di un parroco locale, dal quale imparò i rudimenti del latino. Morì in circostanze non chiare nel 1856, annegato nel fiume Padola. 



L’IMPEGNO POLITICO GRAZIE AL CARLO LEOPOLDO    

Rossin credeva fermamente nella possibilità di affrancare la comunità di Danta dalla municipalità di San Nicolò di Comelico, con la quale il piccolo paese era stato unificato dal governo austriaco. L’impegno per l’autonomia comunale fu centrale nella vita del poeta già dal 1823, quando si dedicò alla reggenza degli affari della comunità insieme a Melchiorre Doriguzzi Precettor: i due amici si spesero per l’autonomia comunale e per l’erezione della parrocchia. Il primo risultato venne raggiunto nel 1843: Rossin, con il suo poema sottobraccio, si recò a Santo Stefano di Cadore il 4 luglio 1842 per incontrare l’arciduca Stefano d’Austria, allora di passaggio per il Comelico di ritorno dal Friuli. Fu incaricato proprio Rossin per l’accoglienza dell’arciduca a nome di tutta la Val Comelico: il suo elogio piacque a Stefano d’Austria, che venne poi omaggiato dal poeta con una copia manoscritta del Carlo Leopoldo. In cambio dell’omaggio alla casa d’Asburgo, vincitrice contro i Turchi nel Seicento, Rossin volle ottenere la promessa di erigere Danta a Comune autonomo e indipendente: l’arciduca acconsentì e in appena un anno la comunità dantina si vide conferire l’indipendenza amministrativa. Copia del poema venne recapitata nel 1843 anche a Venezia al Vicerè Ranieri, che si occupò in prima persona dell’iter burocratico di conferimento dello status di Comune. 

Meno fortuna ebbe Rossin per la costituzione della parrocchia: egli non vide mai il completamento del suo lavoro, poiché la parrocchia venne istituita formalmente solo nel 1861, quando ormai egli era deceduto da 5 anni. 


Frontespizio de Il Carlo Leopoldo



IL CARLO LEOPOLDO E NUOVE FRONTIERE SU ROSSIN 

Il poema epico-cavalleresco il Carlo Leopoldo, ossia il Trionfo della Religione è stata considerata come l’unica opera di Rossin sopravvissuta fino ai nostri giorni (Fabbiani, 1957). Il poema ebbe uno straordinario successo dopo il 1843, quando venne stampato e pubblicato dalla tipografia Tissi di Belluno. I più recenti studi sembrano indicare, però, che il testo circolasse in forma di manoscritto già dal 1842: alcuni autori e amici di Rossin ricevettero, infatti, una copia del poema per poter esprimere i propri giudizi sull’opera. Appare anche nella Biblioteca Storica Cadorina di Vigo di Cadore una stampa del poema datata 1842, in cui è presente una nota di possesso nella prima pagina. La storia editoriale del poema appare quindi atipica e degna di approfondimenti, poiché anche le cronache del tempo sembrano non essere a conoscenza dell’edizione a stampa del 1842. 

Il poema epico non venne chiaramente scritto in un solo anno, ma necessitò di una lunga gestazione: una prima redazione del testo è presente in un manoscritto datato 1832 dalla mano di Rossin stesso. Da un primo confronto tra le redazioni del 1832 e del 1843 appare evidente l’intervento del  poeta sul testo: la redazione del 1843 venne probabilmente pensata per omaggiare la casata degli Asburgo-Lorena, mentre la redazione del 1832 appare meno intrisa di encomi per gli austriaci. La spiegazione di una tale revisione è piuttosto semplice: in ottica della visita di Stefano d’Austria e per l’ottenimento dell’autonomia e dell’indipendenza comunale era necessario proporre un versione del testo encomiastica nei confronti dei sovrani asburgici e questa riscrittura dovette apparire scontata e ineludibile per l’autore. 

Nessuno studio è stato condotto su Rossin dopo il 1957: in questa data, infatti, lo studioso cadorino  Giovanni Fabbiani pubblicò un piccolo opuscolo sul poeta e sulla sua opera principale. Oggi, grazie all’interesse di un giovane dantino, l’attività poetica del poeta potrebbe beneficiare di studi più approfonditi e attenti. Da un primo esame del materiale sul poeta si può di certo affermare che Fabbiani sbagliasse a considerare il poema epico-cavalleresco come l’unica opera a noi giunta: è stato infatti rintracciato un nuovo manoscritto che riporta testi inediti firmati proprio da Rossin. Il manoscritto è datato 1818 e contiene una riscrittura in ottava rima della Passione di Cristo e ben 36 sonetti. La riscrittura della Passione di Cristo dimostra ancora una volta l’influenza della Gerusalemme Liberata su Rossin: l’ottava rima è infatti il metro che il poeta dantino sceglie, emulando Tasso che lo aveva scelto come metro per la propria opera. 

Rossin viene denominato, oggi come allora, “il poeta campione delle autonomie” (Buzzo 2006) grazie al suo intenso lavoro in campo politico. I nuovi studi filologici in corso sulla sua opera, però, potrebbero presto rendergli omaggio anche per l’attività poetica, che non sembra di qualità inferiore all’attività amministrativa, soprattutto se si considera che la sua formazione letteraria fu quasi interamente da autodidatta. 


BIBLIOGRAFIA 

Articoli di cronaca dal periodico Il Cadore, periodo 1956-2006.

A.Ronzon, Da Pelmo a Peralba, Almanacco Cadorino. Annate 1873-1874 vol.1, Nuovi sentieri Editore, 1875.  

G.Fabbiani, Danta di Cadore e il poeta Antonio Doriguzzi Rossin, Tipografia Piave, 1957.

G.Buzzo, Antonio Doriguzzi Rossin. Poeta campione delle autonomie, Tipografia Piave-Belluno, agosto 2006.

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