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Visualizzazione dei post da febbraio, 2022

Post 87 - La Città di Ghiaccio

  Figura 1 (Immagine dell’articolo). Ritratto del tenente Leo Handl eseguito da Francesco Rizzi - dal libro “Ghiaccio Rovente”. La Marmolada, o Regina delle Dolomiti, sita fra la provincia di Belluno e quella di Trento, è il gruppo montuoso più alto della regione con i 3343 m s.l.m. di Punta Penia ed ospita il più grande ghiacciaio delle Dolomiti. Fu a principi dell’Ottocento che ebbe inizio la stagione alpinistica sulla Marmolada, prima da parte di alpinisti locali e poi via via da parte di quelli stranieri. Questi, affascinati dalle guglie, dalle pareti e dal ghiacciaio dell’inviolato colosso montuoso, realizzarono nella seconda metà del secolo la “conquista” da parte dell’uomo delle incantevoli quanto insidiose vette del gruppo montuoso. Figura 2. Soldati al lavoro nella Città di Ghiaccio - dal libro “La Città di Ghiaccio”. Con il sorgere del nuovo secolo, cominciarono sul massiccio (allora zona di confine fra il Regno d’Italia e l’Impero austro-ungarico) anche attività di tipo alpi

Post 86 - I Moltrìn in Val Salatis

Il 'moltrìn' era una struttura circolare costituita da un muro a sassi che veniva utilizzata esclusivamente per la mungitura degli animali al pascolo in alpeggio, e poteva contenere fino a cinquecento ovini. Gli animali entravano nel recinto tramite una grande apertura che poi veniva chiusa con una staccionata di legno ( portèla) . Sul lato opposto si trovavano delle piccole aperture ( Moldidòr) che le pecore, una ad una, raggiungevano spontaneamente: qui avveniva la mungitura da parte dei pastori.  Non tutti i moltrìn avevano una struttura in legno che bloccasse gli animali durante la mungitura: toccava quindi ai pastori trattenere le pecore per la mammella mentre con l’altra mano procedevano alla mungitura. Sito di Campitello, la stalla e i resti del moltrìn dove ancora si possono individuare i moldidòr sul lato opposto all'entrata del recinto. Queste strutture in muro a secco si trovano sparse in tutti i pascoli alpini della provincia di Belluno.  Grazie al “Progetto

Post 85 – A chi ci si rivolgeva nel ‘500 per la grigliata di Pasquetta

A Belluno erano presenti due macellerie (‘becharie’) pubbliche, gestite dal governo cittadino, che le dava in appalto tutti gli anni nel periodo precedente a Pasqua. Si trovavano una in Campedel, fuori le mura, e l’altra sotto il portico del Palazzo della Caminada, luogo ben visibile peraltro nella foto di copertina che usiamo per i post della rubrica «Il Bellunese in età veneziana».  I ‘doi zochi’ della beccaria (così ci si riferiva al ceppo di cui la macelleria era dotata, che fungeva da tagliere: è presente anche nel dipinto di Carracci, sulla destra) venivano assegnati al miglior offerente, per assicurarsi che la città fosse sempre ben rifornita di carne al miglior prezzo possibile. Chi partecipava al bando doveva presentare una serie di garanzie, valutando le quali il Maggior Consiglio assegnava la gestione per l’anno venturo. La cosa più interessante di tutte è forse il fatto che i partecipanti, nelle loro ‘suppliche’, dovevano presentare la lista dei prezzi che avrebbero tenuto

Post 84 - La Madonna della Difesa in Ampezzo

  Statua della Madonna della Difesa venerata in Ampezzo. Statua de ra Madona de Voto venerada in Anpezo. Quasi tutti, in Ampezzo, conoscono la storia della Madonna della Difesa, dei due eserciti stranieri che minacciavano la valle e del voto che gli ampezzani avrebbero stretto: se questa calamità fosse stata scongiurata, avrebbero celebrato la Madre di Dio tutti gli anni, da quel giorno e per sempre. Si narra che i soldati sarebbero giunti fino a Lacedel o Cianpedeles, ma una fitta nebbia li avrebbe completamente avvolti. Incapaci di riconoscere amici e nemici, si sarebbero uccisi l’uno con l’altro: così la Madonna avrebbe protetto Ampezzo da questa doppia invasione straniera. Il primo a testimoniare questa storia – ed è un fatto davvero curioso – è un frate polacco dei primi del Seicento: Antoninus Premisliensis. Di quest’uomo non si conosce quasi alcunché, e quel poco che sappiamo viene da un suo scritto del 1607 rinvenuto nel 2009 presso la Chiesa parrocchiale: con un poemetto latin